Salute

La retorica su Mihajlovic serve solo a nascondere le nostre paure

«L'immagine di lui in panchina è forte. Perché dimostra che non si può vivere senza dolore e fatica. Che l'orizzonte della vita di ciascuno di noi è la morte e che siamo sempre in una condizione di bisogno. Tutto questo ci fa molta paura che cerchiamo di esorcizzare». Abbiamo intervistato Don Tullio Proserpio, cappellano dell'Istituto dei Tumori di Milano, sul gesto che ha commosso il mondo del calcio che ha visto Sinisa Mihajlovic, allenatore del Bologna, sedersi in panchina nonostante la leucemia

di Lorenzo Maria Alvaro

Ad inizio luglio, con una conferenza stampa, Sinisa Mihajlovic, ex calciatore e allenatore del Bologna aveva annunciato di essere affetto da leucemia. Poco dopo ha cominciato le terapie. A sorpresa 44 giorni dopo si è presentato sulla panchina della sua squadra, visibilmente provato, per condurre il Bologna nella prima di campionato a Verona contro l’Hellas. Un gesto che ha colpito e commosso tutti. Social e media hanno cominciato a tributare il serbo con appellativi come “eroe”, “guerriero” e ricoprendo tutta la vicenda con una melassa retorica pesantissima. Ne abbiamo parlato con Don Tullio Proserpio, cappellano dell’Istituto dei Tumori di Milano.


Cosa hai pensato quando hai visto Mihajlovic in panchina?
Naturalmente mi ha fatto piacere. Ma non per la retorica machista tipica del calcio italiano. Non ho pensato, per intenderci, che fosse un "figo”. Mi ha fatto piacere perché significa che sta meglio. Sono qui in ospedale ma posso dire che quasi tutti i malati di tumore, quando si sentono un po' meglio, si muovono come lui. Cercano di tornare ad una normalità. Una cosa è certamente importante da sottolineare

Quale?
La vicenda di Mihajlovic dimostra quanto sia importante avere persone vicine, che gli altri ti aiutino e sostengano in questi momenti. È un motore per reagire. Sentirsi amati è un propellente unico

Il suo gesto quindi non è rivolto all'esterno ma è fatto per sé?
Naturalmente non possiamo sapere quale siano le sue motivazioni. L'animo umano è insondabile. Ma di certo il motivo principale è cercare di tornare a vivere, cioè fare in modo che la malattia non vinca sulla voglia di vivere.

Quindi nessun eroismo?
Al contrario. Sono tutti eroi. Sia Sinisa che Nadia Toffa che tutti quelli che non finiscono sul giornale. Ma viene visto tutto questo in modo un po' distorto

In che senso?
Trovo che tutta questa retorica del guerriero e dell'eroe che combatte la guerra senza paura sia in realtà un modo per esorcizzare qualcosa che ci fa paura. Siamo una società che tende a nascondere la sofferenza. E lo facciamo perché vogliamo nascondere e dimenticare un dato incontrovertibile: l'orizzonte ultimo di ciascuno di noi è la morte. Non importa se si è ricchi o poveri, famosi o sconosciuti, atleti o sedentari. Non voglio fare il menagramo sia chiaro. Il fatto è che noi viviamo nel mito dell'uomo invincibile, nel calcio soprattutto. Ma l'uomo invincibile non esiste. Ci si illude che si possa vivere senza dolore e fatica. Ma non è così e Mihajlovic ce lo ricorda in modo drammatico. Si vede che è sofferente. È un'immagine forte. La retorica ci serve per provare un'ultima fuga di fronte a quell'immagine. Di fronte all'evidente aspetto bisognoso della condizione umana che la malattia fa emergere.

Quale?
Parlare di eroismo, lotta, coraggio e tutto il resto serve per nascondere una domanda che si nasconde lì ma che si ha paura di dire: se lotto, combatto e mi impegno e non ce la faccio, a quel punto che faccio? In sostanza vedere Sinisa magro, emaciato, con il cappellino a coprire i capelli caduti ci butta in faccia una grande verità: che la dimensione terrena, orizzontale, non è sufficiente ad aiutarmi di fronte ai grossi interrogativi della vita. Si dice che quelle dei preti sono tutte balle, e va bene. Ma la verità è che è un problema di senso, non limitato alla questione terrena. È questa la prospettiva religiosa. Il cristianesimo vuole aiutare a dare un senso eterno non limitato alle cose terrene. Non è un caso che sia Sinisa che Nadia Toffa lo hanno detto. Ma mediaticamente tutto questo viene bypassato.

Quindi questo fatto della battaglia alla malattia proprio non ti piace…
Ma no, va bene lottare contro la malattia. Ma non siamo al mondo per avere la salute. Desideriamo la salute per realizzare un progetto di vita. Mihajlovic a mio avviso lo rappresenta bene.

Un gesto che a tuo avviso è importante per chi come lui è malato?
Può aiutare. Dimostra che non bisogna avere paura di raccontare quello che si sta vivendo

Non può esserci invece una reazione opposta. Perché lui è ricco e famoso?
Può essere. Ma chi è malato o lo è stato, o ha avuto un malato in casa, sa che in certi momenti della vita si è soli. Si nasce da soli e si muore da soli. Nella condizione di fatica, dolore e angoscia si è soli. Ecco perché il discorso religioso diventa importante. E un altro aspetto importante della sua vicenda riguarda il coraggio. Che non significa non avere paura. Ma che quella paura si può affrontare.

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