Welfare

La rete senza fili che aiuta i ragazzi a disconnettersi

Far riflettere su come e quanto si dedica tempo ai media digitali, sviluppando un pensiero critico sui concetti di pubblico e privato che attiene a Internet. Un approccio prima di tutto scientifico, quello che propone il progetto “Rete senza fili”, attuato in cinque regioni italiane, che sta vedendo l’Asp di Catania promuovere tra gli alunni della scuola primaria la consapevolezza nell’uso delle nuove tecnologie

di Gilda Sciortino

Quanto i ragazzi di oggi conoscono le più grandi scoperte tecnologiche degli ultimi trent’anni? Molto probabilmente molti di loro non sanno neanche o sottovalutano quanto Internet, se utilizzato male, possa non essere l’amico che appare. Ben vengano, quindi, i progetti che riescono a dimostrare con esempi e la possibilità di mettere insieme i pezzi come la “rete” e gli strumenti a disposizione per mettere in stand by la loro quotidianità il tempo necessario per conoscerli.

È grazie al progetto “Rete senza fili” che cinque regioni – Sicilia, Marche, Piemonte, Toscana e Veneto – hanno avviato una riflessione scientifica, insieme all’Istituto superiore della Sanità, sulle dipendenze da Internet e l’utilizzo delle moderne tecnologie.

«Lavoriamo sulla prevenzione primaria, non sulla patologia – spiega Salvatore Cacciola, dirigente Responsabile U.O. Educazione e Promozione della Salute ASP Catania –, promuovendo un modello di intervento socio-educativo e laboratoriale che vuole contrastare le nuove forme di dipendenza da Internet. Abbiamo formato 500 insegnanti e avviato questo percorso che offre ai ragazzi delle quarte e quinte della scuola primaria e di quelli che frequentano la scuola secondaria di primo grado un percorso di mezza giornata che li vede relazionarsi con tutti quegli strumenti diventati diciamo pure obsoleti perché la modernità ne ha messo in campo di più performanti. È, però, importante che loro conoscano da cosa tutto quello che vivono ha origine, anche in relazione alla “rete” che vogliamo conoscano bene in tutto le sue esternazioni».

Una metodologia attiva e partecipata, quella alla base di questo progetto, il cui obiettivo è promuovere il senso di consapevolezza nell’uso delle tecnologie digitali (social media, videogiochi, Internet, ecc.), migliorando le capacità e le competenze (life skills) dei ragazzi e favorendo l’accesso dei soggetti a rischio ai servizi sociosanitari. Traguardo che si vuole arrivare a tagliare grazie a cinque specifici laboratori.

«Uno è, per esempio, su cosa veicolare di sé e della parte più privata – prosegue Cacciola – che vuol dire sapere quale uso viene fatto delle fotografie che si postano con tanta facilità. Poi c’è il laboratorio sulle fake news, le parole ostili, l’hate speech, il bullismo e il cyber bullismo; quindi, un altro percorso che ha due dimensioni, una delle quali è il making e gaming, consistente nel dare agli studenti la possibilità di montare e smontare un computer. Vince la squadra che rimette insieme tutti i pezzi del pc e lo accende in breve tempo. Un’occasione per scoprire parti essenziali di uno strumento a molti sconosciuto».

Sempre attraverso la formula del gioco di squadra i ragazzi collocano storicamente gli eventi passati e attuali della storia della comunicazione e della tecnologia su una lavagna magnetica, mentre con il laboratorio di “technology museum e stories” possono osservare i reperti relativi alla comunicazione nel Museo della tecnologia, che sorge in uno spazio del 'U.O.E.P.S.A. dell’ASP di Catania, grazie a un’attività di stories che li stimola a realizzare dei video e discutere sulle opportunità e rischi legati alla condivisione di immagini on-line.

«Per buona parte del tempo si stupiscono di tutto ciò che vedono – prosegue Cacciola –, rimanendo desiderosi di conoscere e capire sempre di più. Sono ragazzi dell’era digitale, per i quali il computer è uno strumento diciamo pure preistorico, sostituito dai telefonini, neanche dal tablet. Un progetto del genere ha il grande valore di connetterli al loro passato, fondamentale per capire tutto ciò che hanno oggi in mano. Il museo tecnologico, per esempio, ha quatto sezioni significative da questo punto di vista: la videoscrittura dove, per esempio, trovano le macchine per scrivere, poi la telefonia, la fotografia, la musica e il cinema. Hanno così modo di vedere l’evoluzione dal grande al piccolo, dal meccanico al digitale, trasformando tutto in un’esperienza intensa e totalizzante».

Non consueta ma comprensibile, visto che il progetto si svolge all’interno dell’Asp, la futura nascita di una sala mindfulness in cui potere rilassarsi attraverso pratiche legate anche allo yoga.

«L’abbiamo pensata perché i ragazzi devono capire che, se la tecnologia li eccita e attiva, non avendo però sempre conseguenze positive, ci sono tecniche e strumenti in grado di farli rilassare e dare loro un’altra visione del mondo. Questo è un percorso pensato per insegnanti, ragazzi e genitori degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado, ma riteniamo che possa interessare la comunità tutta».

Un buon inizio che ha già dato ottimi risultati ma che può diventare, così come più nelle corde dei giovani, virale, contaminando di buone prassi i loro percorsi e sollecitandoli a una riflessione attenta su quel che vuol dire rete e interconnessioni.

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