Ebbene lo ammetto: passo ogni giorno almeno un’ora, se non più, a dialogare con i miei “amici” di facebook. Sono tanti, troppi, più o meno 4500. Il massimo è cinquemila. Io ogni tanto consulto questo smisurato elenco di facce e di nomi, ed elimino i contatti che proprio non mi dicono nulla, non suscitano nessun ricordo, neppure lontano, di dialogo o di scambio. Lo so, non si dovrebbe fare. Ma mi piacerebbe, giorno dopo giorno, affinare la lista fino ad avere davvero solo “buone conoscenze” (l’amicizia è una cosa un po’ più complessa).
All’inizio era un diversivo, quasi un gioco, ma adesso è diventato, almeno per me, uno strumento di lavoro e di relazione sociale vera, autentica, tutt’altro che virtuale. Mi pare infatti di notare, non solo per quanto mi riguarda, una evoluzione veloce dello strumento. Prima di tutto è diventato davvero la piazza virtuale delle battaglie civili e politiche. La campagna per le elezioni milanesi, e poi quella per i referendum, è vissuta realmente anche del passaparola su facebook, che permetteva, a costo zero, di far conoscere iniziative, documenti, fotografie, filmati, spot “virali”, tormentoni, link multimediali a youtube, aforismi, battute, citazioni, articoli di giornali, spezzoni di telegiornali o di talkshow. Insomma una lavagna multitask, sulla quale anche persone poco attrezzate dal punto di vista informatico sono riuscite a non sentirsi a disagio, partecipando con semplicità, magari solo con un cenno di approvazione, quel “mi piace”, che suona ridicolo e semplificatorio, ma che ha una sua funzione, quasi da “coro greco”.
In effetti ora non saprei farne a meno, anche se sono certo che i social network avranno una ulteriore, veloce, evoluzione e il futuro ci riserverà nuovi strumenti, che prima valuteremo con diffidenza, poi sperimenteremo in punta di clic, per deciderci infine a usarli come se li avessimo sempre conosciuti. Attraverso facebook posso essere in contatto pubblico o privato (attraverso i messaggi) con un mondo composito di colleghi giornalisti, di giovani, di persone con disabilità, di tifosi nerazzurri (ovviamente…), di amici veri sparsi in tutta Italia, di persone della politica nazionale e locale. Il flusso dei contatti è molto variabile, e secondo me c’è un turnover molto alto, anche perché in molti usano in modo improprio questo mezzo, considerandolo una specie di posta elettronica allargata, e non cogliendone invece il senso nuovo di vera partecipazione, magari effimera e superficiale, ma non banale.
Ogni volta che ho voluto affrontare seriamente temi importanti, legati ad esempio ai diritti, o alla discriminazione, ho avuto risposte formidabili dai miei “amici”, contributi preziosi di esperienze, storie, punti di vista differenti. E, di recente, ho scoperto con grande soddisfazione la crescente capacità di dialogare partendo da punti di vista lontani, spesso opposti, anche in politica. La faziosità rissosa della politica italiana si nota anche qui, ma viene subito temperata dall’irrompere degli altri, il dialogo non è quasi mai “a due”, ma da uno a tanti, e questo contribuisce, nei lunghi scambi di opinione, a modificare il punto di vista iniziale, ad avviare quella forma di civiltà che dovrebbe essere basata sull’ascolto delle ragioni altrui.
Tutto bene, dunque? No. Il limite della rete e dei social network è l’effetto-illusione. Tutti ci sentiamo protagonisti in prima persona, il che aiuta a partecipare, ad esempio, alle campagne elettorali e referendarie, ma poi, passato l’evento, le decisioni vengono riprese in mano dalle élites che non usano, certamente, solo questi strumenti, anzi. E dunque si assiste, inevitabilmente, a una cesura, a un improvviso silenzio sulla rete e della rete, che dà la sensazione di un distacco, di un abbandono, se non addirittura di un tradimento delle aspettative.
Credo che su questo terreno, nell’immediato futuro, sia fondamentale elaborare reti di comunicazione responsabile capaci di mantenere attivo il vento del cambiamento e della democrazia dei social network, che si affianca alla partecipazione diretta nelle piazze, nei teatri, nei convegni, sulla stampa, nei blog, nei forum. La complessità delle decisioni da prendere, e la condizione “liquida” del consenso sociale e politico, con una opinione pubblica sempre meno incline a farsi usare e gettare, dovrebbero convincere gli spin doctors, e gli strateghi della nuova comunicazione a non perdere adesso questo legame “rivoluzionario”, cercando, anzi di dotarsi di strumenti su livelli diversi, per filtrare le modalità di partecipazione, aumentandone la qualità, la competenza, la trasparenza.
Intanto annoto con piacere che il nuovo assessore alle politiche sociali di Milano, Pierfrancesco Majorino, ha ammesso un errore nella dizione di una sua delega, e si è impegnato a sostituire il termine “diversamente abili” con quello più corretto di “persone con disabilità”, da me suggerito in modo un po’ brusco nel mio profilo di facebook. Un intervento in tempo reale, che depone bene nei suoi confronti, ma che forse apre una porta, o una finestra, verso un nuovo modo di ascoltare i cittadini, magari non soltanto attraverso un’ora alla settimana di apertura al pubblico. Il futuro ci dirà se l’ottimismo della ragione si scontrerà con il conservatorismo inevitabile della politica.
Ma questa, diciamolo pure, è una bella stagione da vivere con entusiasmo, e con spirito critico. E’ la nuova cittadinanza attiva.
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