Economia

La responsabilità in cerca di rating

Vita Consulting mette a confronto manager ed esperti

di Redazione

Esiste un modo univoco per stabilire quando un’azienda ha comportamenti etici? Quali metodologie sono più affidabili?«È davvero possibile stabilire quando un’impresa abbia effettivamente conquistato un profilo di complessiva accettabilità etica dei propri comportamenti? Esiste un modo per accertare quando ci si trova di fronte ad una azienda davvero socialmente responsabile?» Queste le domande lanciate da Sebastiano Renna, Csr manager Granarolo, che hanno aperto la prima parte del sesto appuntamento dei Reportisti anonimi organizzato da Vita Consulting, dedicato alla Csr. Condotto da Giuseppe Ambrosio e Paolo d’Anselmi, ha visto la partecipazione di Serena Ceccarelli di Vodafone, Lorenzo Radice di Telecom, Sebastiano Renna di Granarolo, Ilaria Lenzi di Eni, Francesca Magliulo di Edison e Irene Mercadante di Acea.
Dai rappresentanti delle imprese presenti la risposta è stata pressoché unanime perché «è impensabile pretendere che l’essenza di un’azienda sia sovrapponibile ai concetti astratti di responsabilità sociale e sostenibilità». Si sono invece registrate posizioni contrastanti riguardo le metodologie esistenti per classificare in qualche modo le imprese, se da un lato non esistono criteri oggettivi, dall’altro i rating etici consentono comunque di avere dei parametri che permettono di registrare delle buone prassi. È fondamentale sottolineare tutto ciò che di positivo emerge dalla relazione e dal dialogo con le organizzazioni del territorio. E così, in risposta ai temi lanciati da Lucia Martina (responsabile progetti con le imprese di Vita Consulting) riguardo i vantaggi derivanti dalle partnership profit-non profit, emerge che in più di un’occasione «tali relazioni hanno portato persino ad un cambio di rotta nella realizzazione di alcune strutture» così come «la pressione ed il controllo effettuati dalle organizzazioni non governative in loco ha consentito di migliorare le condizioni dei lavoratori». A tal riguardo è importante che «i ruoli tra le parti rimangano sempre chiari e ben distinti e che nel monitorare l’agire dell’impresa la non profit mantenga la propria indipendenza».
Nella relazione tra i “due mondi” è emersa una maggior difficoltà di dialogo a livello macro, quando a parlarsi sono l’azienda e la sede centrale della non profit perché «a livello territoriale tutto è più facile e si ragiona direttamente sulle questioni più operative».
Il compito di tirare le fila e chiudere l’incontro è stato affidato a Paolo d’Anselmi che ha ripreso il tema della reciproca reputazione derivante dal siglare o meno una partnership auspicando che possano cadere quanto prima da entrambe le parti eventuali pregiudiziali, facendo in qualche modo «scadere il valore del marchio, il valore di bollino, sgonfiando così del tutto l’operazione di immagine concentrandosi solamente sulla sostanza e sull’attuazione».


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