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Good books/2 La ferita dell'altro, di Luigino Bruni

di Redazione

Mi è capitato di parlare con diverse persone dell’ultima fatica editoriale dell’economista Luigino Bruni. Ne ho avuto reazioni diverse che, riflettendoci, hanno a che fare con i diversi approcci alla lettura di questo libro. Da una parte, infatti, alcuni dei miei interlocutori si sono soffermati soprattutto su alcuni riferimenti specifici, ad esempio ai classici della filosofia e della teoria economica, piuttosto che ai modelli interpretativi dell’economia sociale e civile.
Altri invece – e io mi schiero fra questi ultimi – sono stati attratti dall’impostazione generale del libro e dalla forza suggestiva della sua tesi di fondo. Fra i primi, non lo nascondo, ho avuto qualche accenno critico che in parte condivido. Ad esempio noto, più da “addetto ai lavori” che da ricercatore, un utilizzo della terminologia relativa al settore sociale non del tutto coerente con la produzione scientifica, ma soprattutto con la “vulgata” che faticosamente si sta facendo strada fra gli operatori e più in generale nella nostra società. Riferire il fenomeno dell’impresa sociale all’intero settore dell’economia sociale è a mio avviso una forzatura concettuale e linguistica, considerando i tentativi, più o meno riusciti, di far chiarezza anche a seguito dei recenti provvedimenti normativi in materia. Allo stesso modo, qualche altro passaggio del libro appare forse brusco, come quando l’autore radicalizza l’approccio alla socialità dell’impresa distinguendo tra la tradizione europea dell’economia sociale e quella statunitense della Corporate social responsability. Questi riferimenti puntuali sono comunque passati in secondo piano, considerando anche l’impostazione del libro che si propone come un saggio di carattere divulgativo, non a caso ricco di note e di rimandi bibliografici (a proposito, complimenti ad autore ed editore per la cura della pubblicazione).
Ciò che è prevalso è l’idea guida del libro, che consiste in un’analisi sui fondamenti antropologici e culturali delle relazioni umane e di come queste si sono sviluppate nell’ambito economico. La “ferita dell’altro” richiama il rischio, la paura di costruire relazioni aperte con un “altro” – uguale a me ma che non sono io – da cui però possono scaturire elementi di valore e di beneficio (di benedizione, riprendendo l’episodio biblico da cui prende le mosse il libro) per cui la relazione stessa diventa un vero e proprio “bene”.
Le moderne economie di mercato hanno preferito però “immunizzare” le relazioni interpersonali da questo rischio, attraverso la stipula di contratti dove prevalgono attributi di formalità e di anonimato. Se questa impostazione ha consentito, almeno in parte, l’emancipazione da un sistema di relazioni arcaico regolato dalla gerarchia e dal controllo comunitario, ora le nostre società soffrono un grave deficit di relazionalità che è causa di un’infelicità sempre più diffusa proprio in quei Paesi dove lo sviluppo economico ha raggiunto i livelli più avanzati. Ed è proprio dal recupero di una socialità che sa accettare il rischio dell’altro che nasce l’esperienza dell’economia sociale e civile come luogo privilegiato per la produzione di beni relazionali.
Forse è proprio questo l’elemento di maggiore interesse del libro, ovvero la capacità di ricostruire le radici più lunghe e profonde di un movimento fatto di esperienze associative, cooperativistiche, ecc. che però troppo spesso viene descritto usando solo il tempo presente (o, al massimo, il passato prossimo) e soprattutto facendone risalire lo sviluppo a meri fattori “congiunturali” (ad esempio la crisi dei sistemi di welfare) e “residuali” (i fallimenti di Stato e mercato).

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