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La Regione innova il Terzo Settore
Il non profit viene integrato con le strutture pubbliche grazie ad una nuova legge
di Redazione
di Alceste Santuari pubblicato su Persona e danno
Si tratta della l.r. Liguria n. 42 del 6 dicembre 2012. Il “Testo Unico delle norme sul Terzo Settore” costituisce un esempio paradigmatico di intervento legislativo in un comparto, quello delle organizzazioni non profit, che merita di essere segnalato non solo per l’incisività e l’innovatività delle disposizioni contenute nella novella, ma anche per la visione complessiva che il legislatore regionale esprime.
La nuova legge interviene a disciplinare:
- i principi fondanti l’azione dell’ente pubblico e delle organizzazioni non profit;
- i rapporti intercorrenti tra P.A. ed enti non profit;
- le tipologie di organizzazioni non lucrative;
- il ruolo delle organizzazioni di volontariato e dell’associazionismo di promozione sociale;
- il ruolo della cooperazione sociale;
- l’istituzione di un registro regionale del Terzo Settore.
Da evidenziare l’art. 28 che recita “Azioni e patti per la valorizzazione e il sostegno della sussidiarietà orizzontale”. Si tratta di un articolo con il quale il legislatore regionale si preoccupa di implementare un modello di raccordo sussidiario ex art. 118 Cost. con le organizzazioni non profit. A tale riguardo, la norma dispone che gli enti locali, le ASL e la Regione, nello svolgimento delle proprie funzioni sociali, riconoscono, valorizzano e sostengono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e delle formazioni sociali, anche attraverso forme di collaborazione di cui all’art. 119 TUEL. Interessante, notare che il comma 3 dell’articolo 28 stabilisce che le suddette azioni istituzionali di favor legis nei confronti degli organismi non lucrativi si realizzano principalmente attraverso “patti di sussidiarietà” che si sostanziano negli accordi di diritto pubblico di cui all’art. 11, l. n. 241/1990.
Il successivo articolo 29 precisa che trattasi di rapporti che non debbono contemplare l’attribuzione di fondi o di altre utilità economiche da parte della P.A. a favore delle organizzazioni non profit. Pertanto, il legislatore, proprio per distinguere tali raccordi/rapporti da quelli riguardanti l’acquisizione di beni e servizi, ha individuato le seguenti azioni: messa a disposizione di informazioni, instaurazione di flussi di comunicazione, coordinamento dei servizi e degli interventi sociali pubblici con quelli privati e ogni altra forma di agevolazione alle autonome iniziative non profit.
Non sembri questa previsione di rango inferiore rispetto a quelle “più pesanti” riguardanti gli affidamenti dei servizi. Infatti, preme evidenziare che l’attuale sistema di welfare e quello socio-sanitario, sempre più articolati, complessi, frazionati, parcellizzati e, conseguentemente, difficilmente capaci di assicurare una efficace tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, richiedono assetti di poteri e, quindi, decisionali in grado di “fare sintesi” e coordinare i diversi attori protagonisti. Da ciò consegue che informazioni, comunicazioni e coordinamento degli interventi rappresentano una fase fondamentale e strategica degli interventi sul territorio.
La questione relativa ai diritti delle persone fragili merita di essere considerata e inquadrata nel contesto delineato dal’art. 3 della Costituzione, secondo il quale tra i compiti prioritari della Repubblica vi è quello di costruire e attuare un programma di giustizia sociale capace di eliminare le diseguaglianze esistenti e favorire, per quanto possibile, percorsi autonomi a favore delle persone più deboli.
In questa prospettiva, dunque, i diritti sociali, così come contemplati nella prima parte della Costituzione acquistano, se possibile, un primato sia culturale sia giuridico-organizzativo, atteso che proprio alle strutture organizzate, siano esse di stretta emanazione degli enti locali ovvero non profit, è affidato il compito importante di tradurre in azioni ed interventi il principio affermato nell’art. 3 e nell’art. 2 della Costituzione, che postula il principio di solidarietà.
Le organizzazioni non profit dimostrano spesso di saper intervenire per rispondere alle mutate e diversificate esigenze che promanano dalla società civile e, soprattutto, dagli strati più deboli e svantaggiati della stessa. Le organizzazioni non profit non si limitano dunque a migliorare le condizioni di vita delle persone, ma devono pensare a migliorare le loro capacità di vita. Ciò implica, tra l’altro, presentare assetti organizzativi, “sensibilità” territoriale e “vocazione” all’altro, elementi che insieme definiscono azioni ed interventi che superano i confini della funzione redistributiva e che integrano la nozione di “servizi di interesse generale”, così come definiti a livello comunitario. Una siffatta configurazione produce (inevitabilmente) ricadute sulle forme giuridico-organizzative e sui rapporti con gli enti locali.
Valorizzare le specificità del non profit affinché quest’ultimo sia integrato in modo efficace ed efficiente con le strutture pubbliche sembra essere un obiettivo molto chiaro del legislatore ligure.
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