Volontariato

La realtà resta fuori dal Lingotto

Trenta cartelle, due ore e mezzo di discorso.Veltroni vola ovunque ma si dimentica di atterrare.Nessun programma concreto, nessuna vera soluzione, nessun impegno formale.

di Walter Mariotti

M icroscopiche spille rosse naufragano nelle grisaglie confindustriali, le camicie inglesi, i sigari danesi. Ex femministe bionde emergono dalle borse prada, gli orologi cartier, i tailleur armani. È lo scenario del nuovo Lingotto veltroniano: menù popolari ?da sessantacinquemila in sù?, parcheggi da ventiduemila; retorica globale umanitarista, pratica locale individualista. Pochissime idee, da scoprire. Tantissime cosce fin troppo scoperte.
Trenta cartelle per battezzare il popolo della nuova sinistra liberandolo dalle ultime bardature ideologiche. Due ore e mezzo di fenomenologia postmoderna dove don Lorenzo Milani abbraccia don Luigi Ciotti e il suo ?avversario? torinese Ernesto Olivero; Palmiro Togliatti lascia il posto a Carlo Rosselli e Seattle richiama metaforicamente Auschwitz. Una bibbia laica che innalza Michele Serra a profeta e condanna Silvio Berlusconi a problema. L?unico problema.
D?accordo, d?accordo, adesso Veltroni dirà qualcosa di concreto. E invece, no. Peccato che la politica come prova di destrezza tra utopia e governabilità, tra fede e opere, tra parole e fatti a Torino sia caduta una volta di più a favore dei primi, dimenticando, rimuovendo, volatilizzando sistematicamente gli ultimi. Peccato che Veltroni parli a «uomini e donne che si definiscono di sinistra» e non spieghi, non dica, non faccia capire agli altri – e forse anche agli uni – cosa «diavolo» sia questa nuova sinistra, cosa voglia fare ma soprattutto come lo voglia fare. Peccato che Veltroni si presenti come l?alfiere di «chi è sottomesso, calpestato, sfruttato, vilipeso, violentato», che parli in nome «di chi ha meno ricchezza e meno potere» e poi appoggi ufficialmente un governo tenuto in vita da giochi di potere, attaccato alla macchina degli interessi di palazzo, ai tubi delle poltrone e delle sottosegreterie. Peccato che pronunci settantacinque volte la parola «sinistra», settanta volte «partito», quaranta volte «governo» e zero volte «emarginati», zero volte «esclusi», zero volte «disoccupati».
Veltroni ribadisce che il compito della sua politica sarà prendersi carico del «dolore del mondo», di «liberare il mondo e la storia dal male, dalla violenza, dal dolore». Una politica consapevole infatti deve «limitare» il dolore e «non accrescerlo o moltiplicarlo». Per riuscirci la sua sinistra si muoverà «nel mondo avendo come missione la dignità dell?uomo quale individuo, la tutela e l?affermazione dei suoi diritti fondamentali, il riconoscimento del valore supremo della sua vita, unica e irripetibile». Un impegno solenne, fondamentale, inderogabile. Pronunciato però solo poche ore prima che la creatura decida di schierarsi per la droga di Stato.
Veltroni denuncia l?insufficienza «di una forza militare e civile di peacekeeping e peaceforcing». Tocca però a un rappresentante dell?associazionismo, al presidente dell?Arci levarsi contro «l?orrore della guerra», puntare da solo il dito verso il mancato rispetto degli accordi sul Kossovo, proporre alternative concrete alla politica internazionale delle armi. Anche il neosegretario sottolinea «il paradosso di una comunità internazionale che interviene in armi a Timor Est e alza le spalle di fronte al massacro dei Ceceni». Glissa però con abilità da prima repubblica sull?accordo di cooperazione militare e per la vendita delle armi alla Russia, che il governo italiano da lui sostenuto ha firmato proprio in questi giorni.
«Il carcere può distruggere una persona e la sua dignità» dice ancora Veltroni con le parole dei cattolici Carlo Federico Grosso e Carlo Maria Martini, «deve essere un intervento estremo, funzionale, di emergenza», prima della condanna una «misura eccezionale» e dopo un «luogo di recupero alla società». Belle parole, intenti nobili. Peccato poi che la realtà vada in senso opposto, che le prigioni scoppino, che i casi di suicidio aumentino esponenzialmente, che i trattamenti previsti dalla legge siano annullati da un garantismo a parole – quello di Oliviero Diliberto – che si rivela giustizialismo puro e duro nei fatti. E peccato che Giancarlo Caselli, il nuovo responsabile delle carceri italiane molto vicino ai diesse, scriva sui giornali un giorno sì e l?altro anche con il linguaggio di Veltroni. Affannandosi a difendere più chi sta fuori, la credibilità dei magistrati e dei pentiti, che a far qualcosa per quelli che restano dentro.
Veltroni non poteva dimenticare il «welfare», infatti lo cita ?addirittura? quattro volte. «Il welfare non è un peso del quale liberarsi ma una risorsa per la crescita italiana, per la crescita dell?economia, per la crescita della giustizia sociale», temi che la nuova sinistra considera «indissolubilmente connessi». Nessun accenno però alle vera novità del mondo delle libertà e della giustizia sociale: nessun richiamo alla «sussidiarietà» – zero citazioni -, al «terzo settore» – zero citazioni – alle organizzazioni di «assistenza volontaria» – zero accenni zero. «La libertà» sospira il segretario «ha a che fare con i diritti civili ma anche con i diritti sociali»: anche qui però chi si aspetta qualcosa resta deluso, perché il massimo è la citazione di Mino Martinazzoli.
«Più libertà di mercato. Regole contro i monopoli, sostegno dell?azionariato diffuso, riforma del diritto societario, meno burocrazia». Veltroni non è imbattibile soltanto a parole, anche con i fatti. È la tecnica a essere diversa: più sono reali più li evita, li svia, li elude. Impegni per il terzo settore? Legge sull?assistenza? Riforma del servizio civile? Tasse sulle ambulanze? Confermato alla guida di «una macchina di tattica politica» che trasformerà presto in «partito-società» Veltroni vola altissimo, lontano anche dalla terra e dalle sue imbarazzanti conseguenze. Certo, sa che «la strada da percorrere non è né facile né breve», sa che «ci sono ostacoli, difficoltà, salite impegnative». Ma «care compagne e cari compagni» don?t worry: il vostro segretario confida che «l?Italia è un grande paese». Amen.

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