Cultura

La realtà e le sue ragioni, il Papa per esempio

Pochi giorni fa, un collega di La Repubblica, Giuseppe D’Avanzo, ha fatto una riflessione sul giornalismo in Italia che val la pena riprendere quasi per intero

di Riccardo Bonacina

Pochi giorni fa, un collega di La Repubblica, Giuseppe D?Avanzo, ha fatto una riflessione sul giornalismo in Italia che val la pena riprendere quasi per intero. D?Avanzo ha ragionato pressappoco così. L?Italia ha molti guai e tra i suoi guai c?è il giornalismo. Il giornalismo è un guaio perché da noi l?informazione è stata degradata a chiacchiera. In un certo posto (soprattutto se è un posto che ?conta?), ad una certa ora (meglio se prima delle edizioni dei tg), qualcuno dice qualcosa. Non è successo niente. C?è solo qualcuno che ha espresso un?opinione, meglio se una maldicenza, ma quella diventa la notizia del giorno. Sulla non notizia si scrivono editoriali, si fanno le prime pagine, si combinano interviste. Il giornalismo della chiacchiera e della maldicenza dimentica il suo dovere di raccontare i fatti e la realtà. Non guarda i fatti, non li cerca, non vuole trovarli, non vuole tenerne conto. Quando si ritrova qualche fatterello tra i piedi, lo trasforma in opinione. «A prescindere», direbbe Totò. Così, ridotta ad opinione, la realtà diventa irrilevante, discutibile, appunto. Ma, è proprio in questo salto l?astuzia del gioco. Accantonata la realtà, quel che resta si può combinare a mano libera. Ogni cosa è uguale al suo contrario. Nel vuoto di realtà creato ad arte, il lettore è frastornato: «Chi ha fatto che cosa? Cosa è davvero successo?». E non trova mai risposta nella marmellata delle opinioni, solo suggestioni. È andata così anche per il viaggio del Papa a Valencia. Sui giornali si è discusso per giorni sulla non partecipazione di Zapatero alla messa papale: commenti, interviste, politici che si schieravano o di qua o di là. Insomma, la messa in scena di una guerra di religione che non si è mai inaugurata. Basta leggere il discorso del Papa all?incontro con le famiglie, un discorso in cui, anche a dispetto di una certa esagitazione del contorno, Benedetto XVI ha restituito tutte le ragioni dell?insistenza della Chiesa sulla famiglia. Ragioni semplici, comprensibili a tutti, anche a Zapatero. Il Papa ha detto che la famiglia è un?istituzione intermedia tra individuo e società necessaria e che niente può supplirla totalmente. Perché, ha spiegato il Papa, la famiglia è palestra insuperabile per una relazione interpersonale sostenuta dall?affetto e dalla mutua comprensione, perché è punto di resistenza all?edonismo che banalizza le relazioni umane e le svuota sin nelle aspirazioni più intime, perché i figli hanno bisogno dell?amore tra padre e madre per ottenere sicurezza e imparare la bellezza della donazione totale e generosa dei genitori, e perché l?esperienza di essere amati dai genitori porta i figli ad avere coscienza della loro dignità. Per queste ragioni, ha concluso, la famiglia è un bene necessario per i popoli e un fondamento indispensabile per la società e, da qui, l?invito a chi governa a tener in debito conto questo «bene evidente». Ragioni semplici, dicevano, ed evidenti soprattutto oggi. L?Istat ci ha detto che nel 2005 il saldo demografico è tornato negativo (-13.282) e che la popolazione cresce grazie agli immigrati (un bimbo su 10 oggi è figlio di stranieri). Dati che dovrebbero suggerire a chi governa almeno due cose. La prima, che è necessaria una politica seria di sostegno alle famiglie. La seconda, che è giunta l?ora di dare un serio diritto di cittadinanza agli immigrati concedendo loro, almeno, il diritto al voto amministrativo. Entrambe le misure stavano in cima alle priorità nel


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