Non profit
La radio che libera le donne
L'esperienza di una piccola emittente indipendente dello Zambia
Nata per mantenere i contatti con i villaggi lontani, Radio Chikuni ha 250mila ascoltatori. Ma soprattutto ha creato spazi per affrontare temi difficili, come l’Aids Riceve 600 lettere di fans alla settimana. Ha 250mila ascoltatori che, all’occasione, si trasformano in reporter e si spostano nelle aree più remote per raccogliere notizie. Manda a scuola 1.500 bambini l’anno. Molto per una piccola emittente dello Zambia, Radio Chikuni, soprattutto se si considera cos’è Chikuni: un punto sulla mappa al di fuori della rete stradale, raggiungibile dopo un’ora e mezza di pista di terra rossa. Eppure i cd di musica locale prodotti da questa piccola emittente spopolano anche nella capitale Lusaka.
A spiegare come è andata è Andrew Lesniara il cui progetto, in Italia, è sostenuto dall’associazione Arché. Anche la sua storia potrebbe diventare una fiction radiofonica. Polacco, lascia il suo Paese all’inizio degli anni 80, sotto il governo comunista, per andare a fare il volontario in Tanzania con una charity cattolica inglese. Tornato in patria, deve scontare due anni di prigione. «Avevo lasciato la Polonia senza permesso e per di più prima della leva militare», racconta. «Così ho vissuto per due anni in una semiprigione, sottoposto a un training di tipo militare: in fabbrica fino alle tre del pomeriggio e poi a scuola di “rieducazione al comunismo”». Oggi padre Andrew è gesuita e missionario in Zambia. «La radio è nata dall’esigenza di tenere i contatti con le 21 comunità che fanno riferimento a Chikuni, ma che vivono in zone rurali distanti fra loro», spiega. «Qui i progetti di sviluppo fallivano quando i missionari o le ong se ne andavano, anche per la difficoltà a tenere i rapporti con le località lontane. Allora venne l’idea della radio, che all’inizio era pensata proprio come strumento per parlare con le persone».
A dare una svolta al progetto è il vescovo: «Un giorno venne a trovarmi chiedendomi di valutare se era possibile creare una vera e propria emittente radiofonica per la diocesi. Ci pensai, ma ci volevano troppi soldi, circa 100mila dollari. Pochi mesi dopo arrivò una lettera da un’infermiera che viveva in Australia: aveva visto il volantino del nostro progetto e voleva donarci l’eredità della madre, 100mila dollari australiani, circa 70mila dollari americani. Con questa somma avviammo la stazione radio».
Radio Chikuni oggi ha un palinsesto che trasmette per il 50% musica e per l’altro 50% programmi vocali. Del primo 50%, la metà è musica in lingua tonga, che fino a pochi anni fa lo stesso popolo dei tong, che vive in questa zona, non riteneva degna di essere trasmessa e fatta conoscere. «Quando abbiamo cominciato a registrare la loro musica, loro stessi hanno realizzato che i toni e i ritmi erano incredibili», afferma padre Andrew. «Hanno cominciato a credere in se stessi e ad oggi abbiamo prodotto 64 album, che hanno trovato mercato anche nella capitale. La musica, poi, fa passare molti messaggi educativi che i giovani rischiavano di perdere con la morte di un’intera generazione a causa dell’Aids».
A Chikuni la radio ha prodotto una piccola rivoluzione: «Poco tempo fa alcune donne ci hanno chiesto di parlare in radio del problema degli uomini che abusano delle ragazzine, partendo dalla superstizione che dormire con una vergine liberi dall’Aids. Abbiamo spiegato loro che potevamo camuffare le loro voci, ma hanno rifiutato, anzi, hanno voluto dire in diretta i loro nomi. La radio ha creato un nuovo forum nel quale le persone possono parlare più liberamente. Se vai in un villaggio l’unica persona titolata a parlare è il capovillaggio, che è un uomo, oppure un altro anziano della comunità, che è sempre un uomo. E non c’è modo di parlare di alcune cose, per esempio dell’Aids. La radio invece ha creato un ambito nuovo di espressione». L’équipe che manda avanti Radio Chikuni ha molti sogni per il futuro. Per esempio un impianto di pannelli solari, che permetterebbe di fare a meno dei generatori a gasolio. Ma i costi sono troppo elevati. La sfida per il futuro è ancora soprattutto una: continuare ad esistere.
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