L’avvicinarsi del periodo natalizio, come di consuetudine, registra un affollamento sui principali media di iniziative di raccolta fondi di molte ONG, associazioni ed enti . Forse anche per questo, il mai sopito dibattito circa le modalità comunicative per aggiudicarsi le donazioni dei cittadini riprende di vigore e ripropone questioni e problematiche tanto note quanto reiterate e mai superate.
La necessità di attenersi a codici e osservare regole di comportamento etici è riconosciuta da molti anni sia a livello italiano che nel più vasto campo internazionale. Diverse sono le iniziative intraprese per definire e, in teoria, adottare immagini, messaggi e mezzi comunicativi consoni con la dignità delle persone, sia dei cosiddetti beneficiari, sia degli stessi donatori. Raccogliere fondi è un dovere, oltre che una necessità crescente , degli enti umanitari e filantropici; a ragion veduta si arriva a considerare la quantità di risorse di origine privata ascritte ai bilanci delle realtà non governative una caratteristica di quel tanto anelato affrancamento dalla dipendenza impropria da finanziamenti pubblici; immancabilmente si considera la raccolta fondi nel privato un indicatore di radicamento nella società civile. Più raramente, o con minor convinzione, si valutano le potenzialità educative che tali iniziative potrebbero sviluppare se condotte con un approccio proteso a sfruttare anche questi rapporti con la cittadinanza come occasioni di educazione allo sviluppo e di riflessione sulle scelte quotidianamente praticate anche dai meno addentro alle questioni delle povertà e delle miserie altrui.
La dimostrazione di ciò la si ritrova nei più recenti spot che alcune note associazioni diffondono sulle principali reti televisive ancora incentrati su immagini shoccanti difficilmente riconducibili a coerenza con quei codici che, sicuramente, le stesse associazioni hanno sottoscritto se non addirittura promosso. Immagini di bambini morenti, pance gonfie, scheletri umani viventi e quanto altro possa smuovere le emozioni e aprire i portamonete degli ascoltatori vengono tranquillamente utilizzate pur di raggiungere il risultato pecuniario che, in alcuni casi, viene anche preso come discrimine per la valutazione degli addetti ai lavori ingaggiati, non di rado pescando dal mondo for-profit. Per non parlare, poi, della natura di alcuni degli enti che si propongono in questo campo: impunemente, con artefici istituzionali di dubbia trasparenza e con la compiacenza delle istituzioni pubbliche competenti, al fianco dei soggetti tradizionali della società civile e del non governativo, enti di fatto intergovernativi occupano gli stessi spazi e si rivolgono ai medesimi donatori giocando sulla ingenua ed incolpevole superficialità di quanti spesso criticano per gli insopportabili sprechi di denaro e le ricusate inefficienze delle case madri di queste realtà, ma al contempo non esitano a versare il loro obolo mossi a compassione e commozione da un “sapiente” utilizzo degli strumenti comunicativi.
Non penso utile lanciarsi, come ancora di recente proposto, in ulteriori elaborazioni di codici etici spendendo e spandendo preziose risorse umane ed economiche. Il non profit ha già molto investito in simili esercizi dotandosi in abbondanza di strumenti utili e di buona fattura. Piuttosto che fornire ulteriori alibi ad operatori incoerenti e magari dare lavoro a qualche sedicente esperto di settore, sarebbe più interessante promuovere una onesta valutazione delle campagne di raccolta fondi sin qui e ancora oggi promosse e di una conseguente poderosa iniziativa condivisa di informazione dell’opinione pubblica in nome di una maggior responsabilizzazione e di una crescente consapevolezza dei singoli cittadini-donatori. Anche e soprattutto di quelli sotto effetto doping da buonismo natalizio.
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