Welfare
La quarantena delle famiglie adottive
Ci sono 44 coppie italiane bloccate all'estero. Non solo: «La vita in quarantena somiglia un po’ a quella che i bambini hanno fatto dentro un “istituto”, penso in particolare a chi viene dai paesi dell’Est. Che conseguenze avrà questo sui bambini? Cosa gli riaccenderà dentro? Penso a chi è arrivato da poco, magari con difficoltà ma anche a chi è in Italia da un anno-un anno e mezzo e stava magari cominciando a “ingranare” a scuola e si è ritrovato a casa... Il "dopo" va organizzato subito», dice Marco Rossin di AVSI
Qualcuno è già insieme al suo bambino: nella stanza di un hotel o in un piccolo locale in affitto, ma insieme al figlio che aspettavano da tempo. Altri sono partiti comunque, sapendo di andare incontro a una quarantena preventiva: ma il loro bambino li aspettava. Sono 44 le coppie italiane che si trovano all’estero per adottare un bambino, bloccate dall’emergenza Coronavirus (dati Cai al 21 marzo)*. «La Cai, in collaborazione con il ministero degli Esteri, gli enti autorizzati e le associazioni famigliari, sta seguendo attentamente le coppie che si trovano all'estero per completare l’iter adottivo e che sono state sorprese da provvedimenti limitativi sia di quarantena sia di possibilità di rientro. Sono in atto tutte le attività necessarie per potere sostenere le coppie all'estero e consentire loro il rientro in Italia, compatibilmente con l'evolversi della pandemia e delle misure di volta in volta adottate dai singoli Paesi».
«La Commissione ci sta chiedendo un aggiornamento settimanale. Si sta muovendo, cercando di mettere ordine in una situazione che è giocoforza disordinata, con il tentativo frenetico per esempio di riuscire a far salire una famiglia sull’ultimo volo dalla Romania. È apprezzabile», dice Marco Rossin, responsabile delle adozioni internazionali di Avsi. Questo ente era fra quelli con più coppie all’estero: «erano 5, in questo momento sono 4, fra cui una famiglia che dovrebbe rientrare a brevissimo dalla Lituania con un volo speciale in partenza da Riga, siamo in contatto con l’Ambasciata italiana a Vilnius (il ministro D’Incà ha detto mercoledì che dal 10 al 23 marzo sono rientrati in Italia circa 30mila connazionali che si trovavano temporaneamente all’estero e che entro il prossimo 5 aprile, anche grazie al supporto e alla disponibilità degli operatori economici privati, ne rientreranno altri 45/50mila, ndr, giusto per inserire i numeri delle famiglie adottive in un contesto). Da tutte le famiglie ci arrivano feedback di una serena consapevolezza, non abbiamo la percezione di una situazione tragica».
Le situazioni sono molto diverse. «Una famiglia è in Colombia, in quarantena: sono partiti comunque perché avevano già conosciuto i bambini su skype, certo pensare di averli vicini e non poterli incontrare è dura, ma continuano a vedersi su skype. È una decisione coraggiosa ma anche umana», racconta Rossin. Un’altra coppia è in Messico dall’8 febbraio: sono già insieme al bambino, ma là stanno chiudendo i tribunali e non si capisce quando potranno concludere l’iter e quindi rientrare. Una terza coppia è in Lituania da un mese, sono stati messi in quarantena subito e poi hanno incontrato il bambino: loro dovrebbero essere i primi a rientrare. Due coppie erano in Romania, una è rientrata sabato scorso e l’altra è in attesa dell’udienza che dà inizio alla convivenza e non si capisce quando verrà fissata… In Romania le adozioni internazionali sono possibili solo se uno dei due coniugi è rumeno, quindi questa coppia si appoggia alla famiglia di origine di lei», racconta Rossin.
Il messaggio che Rossin vuole dare, attraverso le storie di queste famiglie, è di speranza. «Il nostro resta un lavoro bellissimo. Anche in questo momento, in cui tutto pare negativo, ci sono famiglie che hanno il coraggio di aprirsi, di proiettarsi su qualcosa di positivo, di guardare avanti. Perché un giorno ricomincerà tutto. Non c’è solo la paura. È chiaro che tutti ci siamo trovati dentro a stravolgimenti, che stiamo cambiando il nostro modo di lavorare quotidiano, ma la nostra funzione qual è? Dire che qui sta collassando tutto? Avvolgerci nelle lamentele? E chi adotterà più? Noi come operatori avvertiamo forte la di avere una funzione di tutela e supporto alle famiglie, di dare fiducia alle famiglie, insieme. Ci siamo, le attività stanno andando avanti, di colloqui con le famiglie ne facciamo tutti tre o quattro al giorno e ci stiamo organizzando per il dopo…», dice.
Anche in questo momento, in cui tutto pare negativo, ci sono famiglie che hanno il coraggio di aprirsi, di proiettarsi su qualcosa di positivo, di guardare avanti. Perché un giorno ricomincerà tutto. Non c’è solo la paura. È chiaro che tutti ci siamo trovati dentro a stravolgimenti, che stiamo cambiando il nostro modo di lavorare quotidiano, ma la nostra funzione qual è? Dire che qui sta collassando tutto? Noi come operatori avvertiamo forte la di avere una funzione di tutela e supporto alle famiglie, di dare fiducia alle famiglie, insieme
In Avsi, racconta Rossin, il numero di mandati conferiti nel mese di marzo è in linea con quello degli altri mesi: sono le famiglie che avevano preso contatto prima dell’emergenza, che li hanno coniosciuti e che vanno avanti. «Nuove richieste di informazioni non ne stiamo ricevendo, ma forse la gente pensa che non siamo attivi. Invece lo siamo. Tutti i colloqui con le famiglie avvengono in maniera virtuale, per tutte le fasi del percorso adottivo: informativo, di approfondimento, per il post. Anzi, siccome oggi è molto più semplice trovare un momento libero per un appuntamento, i colloqui sono aumentati! Certamente perdendo il contatto fisico qualcosa viene a mancare e su questo noi dobbiamo tararci, un incontro informativo via skype può durare tre ore? E un conto è proporre un abbinamento difficile di persona, davanti a un caffè, guardandosi negli occhi e un altro farlo senza la prossimità: la sensazione però è che mentre tutti ci stanno dicendo “isolatevi”, noi dobbiamo cerare di essere più vicini di prima, con gli strumenti che abbiamo».
Vicini per esempio alla famiglia rientrata tre settimane fa dalla Colombia: «Hanno trovato un’Italia diversa da quella che avevano lasciato. Cose scontate come registrare all’anagrafe la bambina o farle incontrare i nonni… non le possono fare. Iniziano la loro vita di famiglia ritrovandosi chiusi dentro quattro mura, senza poter spaziare, con un senso di reclusione. Cosa comporterà questo per i bambini? Io me lo sto chiedendo. La nostra vita in quarantena somiglia un po’ a quella che i bambini hanno fatto dentro un “istituto”, penso in particolare a chi viene dai paesi dell’Est. Che conseguenze avrà questo sui bambini? Cosa gli riaccenderà dentro? Penso a chi è arrivato da poco, magari con difficoltà ma anche a chi è in Italia da un anno-un anno e mezzo e stava magari cominciando a “ingranare” a scuola e si è ritrovato a casa. Appena si ripartirà con i gruppi del post adozione bisognerà lavorare su questo e sulle ripercussioni che questo mese avrà su tutte le nostre famiglie».
* Aggiornamento al 30 marzo, da sito CAI. «Le coppie fuori dall'Italia erano 46. Di queste 7 hanno fatto rientro nei giorni scorsi con i loro bambini mentre una coppia è rientrata avendo interrotto il percorso adottivo. Per altre sette coppie è già programmato il rientro nei prossimi giorni e settimane. Tutte sono attentamente e costantemente seguite dagli enti autorizzati, dal Ministero degli Esteri e non ultimi dalla Cai e dal Ministero della Famiglia in piena collaborazione e sinergia»
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