“Qualità” fa parte di quella schiera di concetti che nel corso del tempo sono diventati dei “centri di gravità” intorno ai quali si sono costruite rappresentazioni sociali della realtà molto vaste e persistenti, ben oltre i loro confini semantici. E la forza di queste rappresentazioni è tale da mettere in secondo piano il significato primo di questo stesso concetto. Cerco di spiegarmi meglio. Quando acquistiamo certi prodotti e servizi siamo molto inclini a valutarne la qualità guardando alle caratteristiche dimensionali dell’organizzazioni che li produce. Piccolo è bello si dice no? Pensate a come questa semplice rappresentantazione orienta i nostri consumi. In campo alimentare, ma anche culturale. In qualche caso è vero. E l’ultima prova in ordine di tempo l’ho avuta questa mattina quando al gr1 Rai delle sette ho sentito che il nuovo premio nobel della letteratura è distribuito in Italia da una piccolissima casa editrice (che sta pure nella mia città, bravi!). Però non bisogna neanche farsi accecare. Perché non è sempre così. Poche ore dopo mi sono comprato una bottiglia del miglior spumante italiano del 2009. E chi lo fa? Un micro produttore stile mondovino? Neanche per sogno: un consorzio cooperativo di secondo livello che ha il core-business nel vino di fascia medio bassa per i supermercati. Che dire? Brinderò alla salute di Herta Mueller (e del suo editore).
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