Non profit

la psicanalisi si fa sociale se il lettino è low cost

La scommessa di Jonas onlus, con 16 sedi in Italia

di Sara De Carli

Sedute a 30 euro. Una sede in periferia, in casa di uno sponsor. La scelta etica di accogliere tutte le richieste, anche le più impossibili.
E la specializzazione sui nuovi sintomi, dall’anoressia alle dipendenze. Così una
onlus ha vinto la scommessa
di dare a Freud un volto sociale Diceva Basaglia che tra la psicanalisi e la confessione c’è poca differenza. Sostanzialmente una: lo psicanalista si fa pagare. Quella di “cura borghese” è una delle più vecchie critiche mosse alla psicanalisi. Per questo abbinare psicanalisi e sociale, con l’obiettivo di rendere praticabile la psicanalisi nel sociale, non è cosa scontata. Qualche tentativo s’è fatto sulla scia del 68, con l’intento di avvicinare il quartiere alla psicanalisi: i tempi non erano maturi. Dal 2003 invece è una scommessa vinta quotidianamente da una onlus: Jonas.

Se Freud va in azienda
Milano, quartiere Corvetto. La sede di Jonas è in periferia. Passasse di qui, Berlusconi, vedrebbe che la città e l’Italia sono già multietniche. Il palazzo, da lontano, sembra presidiare il confine dove la città infinita si fa meno città e più infinito. L’insegna svetta sulla facciata a vetri: Helvetia assicurazioni. Jonas è un unicum anche per questo: la sua sede sta dentro un’azienda. Uno spazio di 250 metri quadrati, gestito in completa autonomia, e zero euro di affitto, da più di sei anni. «I pazienti non si lamentano: entrano dalla porta dell’assicurazione e raggiungono il nostro servizio», spiega con tranquillità Massimo Recalcati. Psicanalista formatosi a Parigi, cinquant’anni, milanese, docente a Bergamo e Pavia, è stato lui ad avere l’idea. «Abbattere la soglia che rende la psicanalisi una cura accessibile solo a un’élite è stato il nostro primo obiettivo», ricorda. Oggi la sede milanese ha in carico un centinaio di pazienti: più di una Asl. E in tutta Italia, sono un migliaio.
Il primo, imprescindibile step è stato l’abbattimento dei costi: «A Milano una seduta costa 80/100 euro, noi oscilliamo volutamente tra i 20 e i 50», spiega. «Non abbiamo una tariffa fissa, la calibriamo sulla capacità di reddito della persona. L’idea etica è che chi fa una domanda a Jonas deve trovare accoglienza e risposta». Così a Jonas arrivano operai, impiegati, stranieri. Recalcati un po’ ci scherza: «Tra i servizi siamo noti per accettare i casi impossibili: quelli molto gravi e quelli molto complessi, dove la situazione clinica si complica con la povertà o la marginalità sociale».
Sintomi sociali
In più c’è un’utenza tradizionale che arriva qui per la qualità del servizio: Jonas infatti è specialista nei sintomi del disagio contemporaneo. Anoressie e bulimie, dipendenze, attacchi di panico, depressioni, disturbi psicosomatici, tossicomanie e dipendenze varie, disagio della famiglia, nuove famiglie: in tutte queste aree Jonas non offre un generico supporto psicoterapico ma un trattamento specifico, forte anche di un back ground di ricerca clinica costante e di interconnessioni con altre discipline. Per questo Jonas è una onlus e non uno studio associato: «Volevamo essere un soggetto forte, collettivo, capace di una politica istituzionale, non semplicemente portavoce di un insieme di interessi professionali».
Le tariffe low cost sono certo un tassello della psicanalisi sociale, ma non l’unico. Psicanalisi sociale vuol dire anche cambiare il setting. Per esempio, trattare anche l’urgenza. Oppure, visto che i nuovi sintomi hanno un carattere sociale e addirittura la funzione sociale di dare un’identità al soggetto, spesso la terapia si fa anche in piccoli gruppi. Vuol dire porre un nesso tra questa epidemia di sintomi individuali e lo sfilacciamento del legame sociale. «Detto in modo semplice, all’origine di tutto c’è l’evaporazione della figura del padre, cioè manca la testimonianza di cosa può tenere uniti gli esseri umani. Al suo posto c’è il trionfo dell’oggetto gadget», è la diagnosi di Recalcati. La crisi, tra l’altro, ha fatto aumentare la domanda. E l’ha anche resa più disperata.

Lo sponsor non fa paura
Ma torniamo all’insegna. Recalcati si definisce un po’ naif su questo tema, ma in realtà a Jonas sono molto innovatori. «Qualcuno, in verità, ci definisce spegiudicati», chiosa lui. Gli sponsor per Jonas sono un capitolo fondamentale. Helvetia, oltre allo spazio fisico, da due anni finanzia le attività per bambini e adolescenti iperattivi, nel Centro Gianburrasca (vedi box). Poi c’è l’American Express. A Varese, la scorsa primavera, una cordata di banche e imprenditori locali ha finanziato una comunità residenziale con 40 posti letto per la cura dei disturbi alimentari, di cui Jonas cura la parte scientifica. Un finanziamento del ministero della Gioventù, versione Melandri, ha pagato un progetto di educazione alimentare nelle scuole. Grazie a un altro bando il centro di Trieste sta per avviare un progetto nelle cerceri.
Venti, trenta, cinquantamila euro. «Abbiamo cercato di non rigettare la cultura di impresa e di trovare alleanze strategiche», spiega Recalcati. «Anche se dobbiamo migliorare. Per la mia formazione, penso sempre che le cose migliori sono quelle che si fanno solo con le proprie forze». Al secondo anno di vita hanno rifiutato un finanziamento enorme della Dove, che però chiedeva di associare sempre i due marchi. «Eravamo troppo deboli, non potevamo permettercelo. Ora siamo cresciuti, e la crescita ci impone più contaminazioni». Tipo? Una nuova sede, una collaborazione con Welfare Italia e diventare centro d’eccellenza riconosciuto dal Miur.


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