Famiglia

La Protezione civile? Una scatola vuota

"Vi sembrerà incredibile, ma le scorte del mio ministero sono finite. Non abbiamo più tende né container". Il capo della Protezione Civile fa il bilancio di 12 mesi catastrofici

di Gabriella Meroni

Non si può certo dire che non si ricordasse di noi. Franco Barberi, sottosegretario alla Protezione civile, quella copertina di ?Vita? con la sua faccia e il naso di Pinocchio non se l?è dimenticata. Era un anno fa, e noi eravamo andati a fare le pulci alla gestione dell?emergenza in Umbria e Marche, mettendo in evidenza ritardi, incomprensioni, disguidi di ogni genere. Lui, il professore, ci aveva risposto con una lunghissima lettera, che noi pubblicammo per intero rivoluzionando l?impaginazione del giornale: perché Barberi, quando ci si mette, puntualizza. Eccome se puntualizza. Tanto che a un anno di distanza ci accoglie nel suo bellissimo studio di via Ulpiano, a Roma, tenendo sulla scrivania proprio quella copia di ?Vita?. Quella di Pinocchio. «Il mio professore di liceo diceva: le cose hanno sempre ragione. E io ero sicuro che alla lunga le cose mi avrebbero dato ragione», puntualizza. «Nonostante gli attacchi della stampa e questo Pinocchio». Ecco dunque la rassegna delle ?cose? secondo il sottosegretario alla Protezione civile. In una panoramica a tutto campo che ripercorre un anno di emergenze passate («ce ne sono state tante, ma io me l?aspettavo») e lancia parecchie idee per quelle future («ce ne saranno ancora, l?Italia è uno dei Paesi più a rischio del mondo»). Professor Barberi, un anno fa il terremoto in Umbria e Marche. A freddo, che giudizio dà dell?operato della Protezione civile? In quel terremoto abbiamo lavorato in modo straordinario, come meglio non si poteva. Possiamo aver fatto degli errori, ma senza ripetere quelli del passato. Tanto che se facciamo confronti noi ci abbiamo messo tre mesi a risolvere il problema dei container, in Irpinia ci avevano messo un anno. Tanto che per le persone che hanno avuto la casa non gravemente lesionata questo sarà l?ultimo inverno nei campi. Ma allora come spiega che dovunque lei vada riceve fischi e contestazioni? Non si è un po? stancato? No, calma, puntualizziamo. Io ricevo tutte le lamentele perché sono l?unico che si muove e va sul posto. Mi sono sempre preso le mie responsabilità, mettendoci la faccia. Come quando invitavo la popolazione a rientrare nelle case dichiarate agibili: quante volte mi sono sentito dire ?o Barberi, dormici te in casa mia stanotte?, e io ci ho dormito, in quelle case. Pensi se ci fosse stato anche solo un morto di infarto, per paura… Ma assumersi responsabilità dirette solo poche persone di qualità lo sanno fare. Certo, ci sono situazioni in cui l?emotività prevale, è comprensibile, ma bisogna lasciar fare a chi se ne intende. Capita spesso che siate intralciati da qualcuno o qualcosa? Le racconto una storiella: nel 1966 assistetti all?alluvione di Firenze e ricordo che l?onda di piena spazzò via un ponte a Pisa. Durante i lavori di ricostruzione centinaia di persone stavano sedute sulla spalletta dell?Arno: tutti avevano un suggerimento da dare agli operai, ma nessuno si muoveva. Davano fastidio e basta. In Italia accade sempre così. Insomma, le sarà venuto in mente di gridare ?lasciateci lavorare? Più di una volta. Le faccio un altro esempio: Sarno. Lì la gestione dell?emergenza è stata difficilissima perché davanti a quella marea di fango non riuscivamo a sapere da nessuno quante persone potevano essere state travolte. Il comune non aveva dati anagrafici aggiornati, e intanto la gente premeva, disperata, dicendo ?qui sotto c?è mio padre, mia madre, i miei figli?. I mezzi pesanti affondavano, i morti erano sotto, non si poteva spalare senza riguardi. Poi c?era il problema dei latitanti, interessati a sparire. Non sapevamo quanta pioggia era caduta perché in Campania non esisteva un pluviometro. Nemmeno uno. Insomma, una confusione terribile. Abbiamo capito che i numeri dei dispersi che ci venivano dati non avevano attendibilità e potevamo lavorare con mezzi pesanti solo quando non avevamo più nessuno intorno. Professore, cosa manca perché le cose funzionino? Nella gestione dell?emergenza la mano libera ce l?abbiamo, le decisioni si prendono, l?autonomia la strappiamo, ma fortunatamente non siamo sempre in emergenza. La gestione del territorio spetta a comuni e regioni. Se manca la gestione ordinaria anche quella straordinaria fallisce, perché non è possibile lavorare sempre alla rincorsa. Alla rincorsa di chi, principalmente? Il punto debole del sistema sono i sindaci, perché sono loro che ricevono direttamente le pressioni dei cittadini, e le scaricano sugli altri organismi, Protezione civile in testa. Gli manca la cultura della Protezione civile. Noi inviamo circolari e direttive, ma mi sembra che non ne tengano granché conto. Invece ogni comune d?Italia dovrebbe avere la sua struttura di Protezione civile, essere organizzato in modo che se arriva un allarme sappia cosa fare. Altro anello debole: le regioni. Con loro abbiamo cominciato a stipulare convenzioni, in particolare per la prevenzione degli incendi la cui competenza è esclusivamente regionale, anche se nessuno se ne ricorda, e non da ieri, da 20 anni. Queste dunque le responsabilità degli enti locali. Ma a livello centrale, vi sentite abbastanza considerati? C?è qualcosa da dire al governo? Nei nostri magazzini non c?è più niente. Se arriva un altro terremoto o qualsiasi emergenza, non so come faremo. Non abbiamo più tende, né roulotte, né container. Le scorte sono finite. Bisogna rifarle da capo, ma per questo ci vogliono fondi, che dovrebbero arrivare con la Finanziaria. Sul versante umano, poi, non stiamo meglio: abbiamo pochissimi vigili del fuoco, 30 mila, mentre ne servirebbero almeno 100 mila. Io un?idea ce l?ho per risolvere il problema: potenziare il servizio volontario. E ampliare la possibiiltà che i giovani già hanno, ma sfruttano poco, di svolgere il servizio militare volontario in questo corpo. E poi la grande riforma della Protezione civile… Se ne parla da molti anni, ormai. Lei sta pensando a un ministero indipendente? No. Allora va bene così com?è? No, così non va bene. La mia idea è questa: creare un?agenzia nazionale di Protezione civile che comprenda l?attuale dipartimento, i vigili del fuoco, i servizi tecnici. La riforma a cui stiamo lavorando e che presenteremo a gennaio disegna un?agenzia agile, con un?autonomia finanziaria, un fondo speciale dedicato, che utilizza i vigili del fuoco come braccio operativo sul territorio, raccordandosi con i volontari. Il risultato? In ogni area d?Italia sindaci, vigili e volontari sanno che tipo di evento rischiano (terremoto, frana, alluvione, eruzione) e sono preparati specificamente per affrontare quella particolare emergenza. Hanno pronto un piano da attuare subito, sanno dare informazioni alla popolazione. Questa è la prevenzione. Questo è il minimo che dovremmo avere in Italia, con 23 milioni di persone a rischio di calamità. Un bel lavoro. Ma non sarà che la sua calamità personale è aver accettato questo incarico? Sapevo a cosa andavo incontro. Quando il presidente Dini mi propose di fare il sottosegretario fui sorpreso perché sono un tecnico e non un politico. Naturalmente avevo la consapevolezza del prezzo che avrei dovuto pagare, conoscevo il nostro territorio e la sua vulnerabilità, ma sapevo cosa andava fatto e volevo avere la possibilità di farlo. È vero, abbiamo una quantità micidiale di cose da fare. Ma di una sono certo: troppe di queste cose senza me non si farebbero.


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