Welfare

La professione di mezzo

trend I mediatori culturali sono ormai 5mila. Luci e ombre di un lavoro col futuro assicurato

di Redazione

Questura di Roma, sportello immigrazione. È ora di punta: la coda è lunga e le facce di operatori e clienti sono visibilmente stanche. Ma del girone dantesco che ti saresti immaginato nessuna traccia. Basso il volume delle voci, paziente l’attesa del turno. «È così da quando sono arrivati i mediatori culturali, prima era un susseguirsi di litigi, risse, insulti. Grazie a loro, stress e ansia di un luogo “a rischio” come questo si sono ridotti a livelli minimi», dice Alvaro Sanchez Castillo, italo-colombiano, uno che se ne intende: da dieci anni coordinatore del servizio di mediazione linguistico-culturale del Cies, Centro informazione educazione allo sviluppo, ente che più di tutti in Italia si occupa di formazione e inserimento lavorativo dei mediatori. «Il lavoro di mediazione è sempre più richiesto», spiega Sanchez Castillo, «solo nella nostra banca dati ci sono almeno 600 persone, che parlano 80 lingue diverse e trovano impiego in campo giudiziario, socio-sanitario, scolastico, penitenziario, nella Pubblica amministrazione». Ma quanti sono oggi i mediatori d’Italia, come vengono formati, qual’è la loro retribuzione e quali le prospettive? A queste e altre domande Vita ha cercato risposta con un viaggio nella galassia della mediazione, «un mestiere», aggiunge il coordinatore del Cies, «dalle potenzialità immense, tanto riconosciuto quanto travisato».

Le cifre
Proprio il Cies è stato fra gli autori, assieme al Creifos, Centro di ricerca dell’università Roma Tre, dell’unica indagine quantitativa finora effettuata sulla mediazione linguistico-culturale nel nostro paese: un documento presentato nel Dossier Caritas/Migrantes del 2006 e che parla di almeno 2.400 mediatori attivi, il 74% dei quali donne, per il 42% laureati e con un’età media di 35 anni. «Oggi, a due anni di distanza, dai dati emersi nel XV Forum intercultura di Caritas Roma si stima che il numero di mediatori sia più che raddoppiato, arrivando almeno a 5mila», afferma Franco Pittau coordinatore del Dossier. «Che quello della mediazione sia un settore in continua espansione lo si può vedere dalle varie offerte formative attive oggi», continua Pittau.

Professione meticcia
«La mediazione è nata come un lavoro compiuto da stranieri per stranieri e oggi nove mediatori su dieci sono tali, ma il numero di italiani è in crescita», chiarisce Pittau. E in crescita sono le possibilità di trovare lavoro. Un esempio su tutti è il master di I livello in Formazione interculturale della Cattolica di Milano, dove l’80% dei 30 iscritti annuali è italiano: «La domanda di mediazione è molto alta, soprattutto nel mondo della scuola e dei servizi sociali» spiega Milena Santerini professoressa di Pedagogia generale e direttrice del master della Cattolica. «I mediatori italiani sono molto richiesti, soprattutto nelle strutture di accoglienza madre-bambino, nelle comunità alloggio e negli altri ambiti socio-educativi».
Straniero o italiano che sia, il mediatore linguistico-culturale è una figura comunque sempre molto richiesta «Ce n’è sempre più bisogno, e in certi contesti, come nei centri di identificazione per stranieri e negli ambienti giudiziari, la presenza di un mediatore è imprescindibile», conferma Sanchez Castillo.
Quanto alle remunerazioni «all’importanza del suo ruolo non corrisponde ancora la dignità che merita», aggiunge l’esperto del Cies. I dati del Dossier Caritas/Migrantes lo confermano: l’89% dei mediatori lavora con un contratto a termine, se non a chiamata. Solo per uno su dieci il lavoro è fisso. «Un dato che va interpretato anche alla luce di una forbice molto aperta fra remunerazioni alte e remunerazione di livello inferiore:», aggiunge Pittau, «da 45 euro lordi all’ora, la cifra che, per esempio, noi garantiamo ai nostri collaboratori, in alcuni casi si arriva a sette euro l’ora».

A quando il contratto nazionale?
Proprio sul versante “precarietà” gli operatori del settore stanno cercando di migliorare sotto divcersi punti di vista. In questo quadro si inserisce la nascita del primo sindacato dedicato in via esclusiva al mediatore (vedi box), «che oggi è una professione ritenuta indispensabile anche dalle istituzioni ma non riconosciuta in modo idoneo a livello legislativo», spiega Klodiana Çuka, 36 enne albanese, da 20 anni in Italia, responsabile dell’associazione Integra di Lecce e dirigente nazionale del sindacato mediatori del Sei Ugl. «Un primo importante passo per la mediazione sarebbe ottenere un vero contratto nazionale», prosegue Çuka.
A conti fatti, a fianco di una legislazione per ora latitante, oggi la figura del mediatore trova però conforto in una formazione sempre più adeguata, e il raddoppio del numero di impiegati in soli due anni è una garanzia che di lavoro c’e n’è. Per tutti, italiani e stranieri: «La formazione di entrambi, prima in Europa e poi in Italia, è molto più specializzata che nel recente passato», riprende Santerini della Cattolica: «Tutto il mondo della mediazione ha, soprattutto di questi tempi, un obiettivo comune: ottenere una società pluralista, che pensa e si comporta diversamente. Viviamo nell’epoca dell’intercultura, dove le culture “mono” sono solo culture a metà».

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