Welfare
La professione di mezzo
trend I mediatori culturali sono ormai 5mila. Luci e ombre di un lavoro col futuro assicurato
di Redazione
Questura di Roma, sportello immigrazione. È ora di punta: la coda è lunga e le facce di operatori e clienti sono visibilmente stanche. Ma del girone dantesco che ti saresti immaginato nessuna traccia. Basso il volume delle voci, paziente l’attesa del turno. «È così da quando sono arrivati i mediatori culturali, prima era un susseguirsi di litigi, risse, insulti. Grazie a loro, stress e ansia di un luogo “a rischio” come questo si sono ridotti a livelli minimi», dice Alvaro Sanchez Castillo, italo-colombiano, uno che se ne intende: da dieci anni coordinatore del servizio di mediazione linguistico-culturale del Cies, Centro informazione educazione allo sviluppo, ente che più di tutti in Italia si occupa di formazione e inserimento lavorativo dei mediatori. «Il lavoro di mediazione è sempre più richiesto», spiega Sanchez Castillo, «solo nella nostra banca dati ci sono almeno 600 persone, che parlano 80 lingue diverse e trovano impiego in campo giudiziario, socio-sanitario, scolastico, penitenziario, nella Pubblica amministrazione». Ma quanti sono oggi i mediatori d’Italia, come vengono formati, qual’è la loro retribuzione e quali le prospettive? A queste e altre domande Vita ha cercato risposta con un viaggio nella galassia della mediazione, «un mestiere», aggiunge il coordinatore del Cies, «dalle potenzialità immense, tanto riconosciuto quanto travisato».
Straniero o italiano che sia, il mediatore linguistico-culturale è una figura comunque sempre molto richiesta «Ce n’è sempre più bisogno, e in certi contesti, come nei centri di identificazione per stranieri e negli ambienti giudiziari, la presenza di un mediatore è imprescindibile», conferma Sanchez Castillo.
Quanto alle remunerazioni «all’importanza del suo ruolo non corrisponde ancora la dignità che merita», aggiunge l’esperto del Cies. I dati del Dossier Caritas/Migrantes lo confermano: l’89% dei mediatori lavora con un contratto a termine, se non a chiamata. Solo per uno su dieci il lavoro è fisso. «Un dato che va interpretato anche alla luce di una forbice molto aperta fra remunerazioni alte e remunerazione di livello inferiore:», aggiunge Pittau, «da 45 euro lordi all’ora, la cifra che, per esempio, noi garantiamo ai nostri collaboratori, in alcuni casi si arriva a sette euro l’ora».
A conti fatti, a fianco di una legislazione per ora latitante, oggi la figura del mediatore trova però conforto in una formazione sempre più adeguata, e il raddoppio del numero di impiegati in soli due anni è una garanzia che di lavoro c’e n’è. Per tutti, italiani e stranieri: «La formazione di entrambi, prima in Europa e poi in Italia, è molto più specializzata che nel recente passato», riprende Santerini della Cattolica: «Tutto il mondo della mediazione ha, soprattutto di questi tempi, un obiettivo comune: ottenere una società pluralista, che pensa e si comporta diversamente. Viviamo nell’epoca dell’intercultura, dove le culture “mono” sono solo culture a metà».
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