Cultura
La principessa è pazza o santa?
Si chiama Fiamma, discende da Goffredo Mameli. Vedova di un principe Odescalchi, ha scelto la povertà assoluta. Ogni giorno la si può trovare in una piazzetta di Frascati, attorniata dai giovani. Ai q
È finito il tempo delle favole? Se pensate di sì, ascoltate con molta attenzione questa storia e provate a ricredervi. È la favola di Fiamma: 52 anni, discendente di Goffredo Mameli, quello dell?inno nazionale italiano, per intenderci. Lei è principessa, moglie di un principe, un Odescalchi addirittura, che lasciò palazzi, gioielli e ricchezze per amore della povertà totale. Oggi vive a Frascati, nei castelli romani, non chiede assolutamente niente, prega Dio, sorride spesso, e racconta storie a chi l?ascolta. Il suo pezzo forte è proprio la storia della sua vita, ormai la conoscono tutti in paese, ma che ciascuno ripete a modo suo. «Fiamma chi, la matta?», «Fiamma chi, la principessa?» hanno risposto i frascatani a noi che chiedevamo di lei.
«Segua la via dell?Olmo, scenda dalle scalette, subito dopo l?osteria, e lì troverà una piazzetta, sul retro del convento di san Rocco. Lì c?è la bottega dello scultore, c?è una fontana, e , seduta sul parapetto c?è lei, sotto gli alberi, quella che parla coi ragazzi: è Fiamma la matta, Fiamma la principessa, Fiamma la santa», e gli aggettivi cambiano, a seconda del vento che tira.
Fiamma siede davvero a gambe incrociate sul muretto che divide la piazza dallo strapiombo. Ha i capelli raccolti sul capo, bianchi, ma si intuisce che un tempo furono biondi, da alcune sfumature superstiti. I suoi occhi sono azzurri, velati d?acqua, il suo sguardo ti circonda piano, e quando ti ha preso, non sai com?è stato possibile. Ma la voce è ciò che colpisce di più: è la voce di una bambina. Racconta, come sempre, una storia del vecchio Testamento, un piccolo crocchio di ragazzi ventenni la circonda. C?è chi subisce il suo fascino ipnotico, e succhia ogni parola fino al nocciolo, e chi invece si distrae, confabulando con il compagno a cui dà piccoli, loschi, colpi di gomito.
Un nome diverso per ogniamico
Lei distribuisce nomi nuovi a tutti «Dio – sostiene – inventa un nome per ciascuno». E tra il serio e il faceto battezza ?Bach? un ragazzo che suona il piano, ?Aronne? uno coi capelli rossi, a cui racconta la storia del profeta, rosso di pelo anche lui, a quanto dice. Lo scultore della piazzetta poi, quello che lavora il legno e la pietra in un negozietto lì accanto, lo ha ribattezzato San Giuseppe. San Giuseppe all?anagrafe si chiama Maurizio Bettelli, è un artista e una sorta di Socrate, per i ragazzi del posto che riempiono la sua bottega per fargli domande sui suoi innumerevoli viaggi in Brasile: alle pareti è appeso un quadro enorme con un angelo duecentesco circondato da pappagalli amazzonici, che reca il titolo: ?L?angelo del sacrificio?. Lui è sicuramente il miglior amico di Fiamma: «Non bisogna scegliersi un mestiere in funzione della sopravvivenza», dice, «ma solo in funzione di se stessi, anche se il mondo fa di tutto per cercare di impedirlo: Fiamma e suo marito, che hanno lasciato le loro ricchezze per cercare loro stessi, sono stati perseguitati, per questo, come se avessero compiuto un tremendo delitto».
Tutto iniziò nel ?70
Erano gli anni Settanta, quando Filippo Odescalchi erede di una delle famiglie più prestigiose della nobiltà romana, e di una fortuna di parecchi miliardi, andò a vivere con sua moglie Fiamma, più anziana di lui di qualche anno, ai Castelli. Insieme decisero che non erano assolutamente fatti per il lusso. Anche sul principino Filippo circolano voci diverse: i bambini lo chiamavano Gesù Cristo perché portava i capelli e la barba lunghissimi, e ricordava il Cristo del celebre sceneggiato di Franco Zeffirelli. Alcuni dei preti che provavano a conversare con lui, testimoniano oggi che era un mistico vero. Ma altri, siccome beveva, lo consideravano un alcolizzato e basta. Morì qualche anno fa, cadendo dalla motocicletta, e lasciando tre figli. Le ?persecuzioni? nei suoi confronti, come le ha chiamate Bettelli, si spostarono allora su Fiamma. «Non voglio parlare male di mia suocera», ci ha detto Fiamma «né di tutta la famiglia Odescalchi, perché, poverini, mi fanno pena. Vivono attaccati alle loro ricchezze come tante marionette: il denaro è il burattinaio e loro sono i burattini. Io dico loro: basta di preoccuparsi, basta di piangere e soffrire, venite a giocare con noi».
La libertà prima di tutto
Il gioco di Fiamma consiste nel vivere semplicemente libera. «Più di quanto ti serve», prosegue, «in realtà non ti serve, e a me serve solo di pregare il Padre che sta nei cieli. Mi sono completamente spogliata del mio. Faccio una vita totalmente ascetica. Prima vivevo costruendo gioielli che vendevo sulle spiagge. Ora, invece, ho meno tempo, perché mi sono messa a studiare teologia».
A Frascati tutti sanno come Fiamma viva di nulla: una volta, per esempio, andò con i ragazzi della piazzetta a fare un gita in montagna, e non volle nulla da mangiare per tutto il giorno. Le piace dormire all?aperto poi, e fra poco ci sarà costretta, visto che il suo appartamento al Tuscolo ha uno sfratto ormai pendente. «Mi hanno fatto passare per matta, hanno portato in tribunale falsi testimoni. Ora vogliono anche sfrattarmi. Non mi tollerano per niente, gli Odescalchi. E anche i figli, me li hanno portati tutti via».
L?Apocalisse è già qui
Tra ciò che Fiamma ha passato (ne parla poco e mal volentieri, ad esempio di quando subì un elettroshock), la cosa che più le brucia è la sorte dei figli. Ne ha cinque: i primi due sono grandi, li ha avuti da un regista famoso, ma gli ultimi tre, i figli del principe, sono ancora piccoli. Sono gli eredi della famiglia Odescalchi, e la nobiltà non tollera che vivano con una madre così. Portano nomi, anche quelli, da favola: Ginevra che ha 17 anni, ed è bellissima al pari della sorella, Cristallo che ha 15 anni. Il più piccolo è Andrea, 13 anni, vive in un collegio negli Usa. «Anche io da piccola», dice Fiamma, «sono stata rinchiusa nei collegi. La mia famiglia abitava in Piazza di Spagna e io andavo a scuola lì. Ora parlo tre lingue. Ma a che mi serve? Io sono una privilegiata. Non per ciò che ho avuto, ma per la libertà che il Padre mi ha dato».
Il messaggio di Fiamma è semplice: «C?è un momento in cui comprendi che non è possibile avere più degli altri. Vedi delle ingiustizie, e ti accorgi di essere un privilegiato. A quel punto devi rimboccarti le maniche, pregare il Padre celeste, metterti dalla parte degli oppressi. L?Apocalisse è già cominciata, ma non nel senso della distruzione, ma in quello della salvezza».
E poi: «Penso alle paperelle che ci sono al lago di Castel Gandolfo. Noi vediamo sempre le paperelle disegnate, o in tv. Ma vogliamo uscire di casa, e vederle davvero queste paperelle? Io spesso ci vado, al lago. Ma sono sola, o con pochi amici. L?uomo è come questo albero (e indica un platano lì accanto) al quale hanno messo i sampietrini sulle radici».
C?è una morale da apporre in calce a questa favola? Fiamma non fa un granché in fondo: parla, sorride e ogni tanto ti leva un sampietrino dai piedi, o dalle ali. Sembra poco, per questo è tanto.
Odescalchi e Mameli
Due famiglie illustri
Le famiglie di Fiamma, quella sua propria e quella acquisita col matrimonio, posseggono una storia pluri-secolare strettamente intrecciata con la storia d?Italia. Gli Odescalchi, di cui il principe Filippo, cioè il marito di Fiamma, era erede, sono una delle famiglie nobili più antiche di tutta Europa. Alcune leggende ne raccontano l?incerta origine. Pare che il capostipite fosse addirittura un paladino di Carlo Magno, un certo Odo Scalus. L?altra tesi più accreditata è che fosse un vicario di Federico Barbarossa, Giorgio Erba, che è il nome dell?altro ramo della famiglia.
Da Como, dove un tempo risiedevano, gli Odescalchi si spostarono a Roma, quando, nel diciassettesimo secolo un loro membro fu eletto Papa. Questi assunse il nome di Innocenzo XI.
Ma il titolo più prestigioso gli Odescalchi se lo guadagnarono grazie a Livio, nipote di quel papa, duca di Ceri e fondatore del ramo ungherese della famiglia, che distinguendosi nell?assedio di Vienna, e nella guerra contro i turchi (era il 1683), ottenne dall?imperatore Leopoldo I il titolo di ?principe dell?impero?. Livio Odescalchi rischiò persino di diventare re di Polonia. Non ci riuscì, ma in compenso acquistò dalla famiglia Orsini il feudo di Bracciano, che comprende l?omonimo lago. Il castello di Bracciano, infatti, è ancora oggi di proprietà della famiglia.
In pieno risorgimento però si registrò la prima defezione nei confronti dell?impero sacro e romano. Il principe Baldassarre Ladislao partecipò alla presa di Roma, e fece parte dell?ambasciata di patrioti che consegnarono al re Vittorio Emanuele il risultato del plebiscito popolare, che formalizzava l?annessione di Roma al regno d?Italia. Ladislao, poi, fondò Ladispoli, cittadina balneare sul litorale laziale, e divenne deputato in varie legislature, anche col centro sinistra di allora. Corsi e ricorsi storici: a piazza Santi Apostoli, proprio nel palazzo Odescalchi, aveva sede il comitato elettorale dell?Ulivo, il centro sinistra dei nostri giorni.
Sarà anche per questa venatura patriottica della famiglia (altrimenti fedele al Papa) che il principe Filippo sposò Fiamma, discendente di un?altra famiglia illustre, ma di provata fede mazziniana: quella dei Mameli, di origine sarda, che ebbe in Goffredo la propria punta di diamante. Goffredo, l?autore del nostro inno nazionale, nacque a Genova poiché il padre, ammiraglio della flotta sabauda, si era trasferito lì. Conobbe e fu amico di tutti gli eroi del Risorgimento: Giuseppe Mazzini innanzi tutto, ma anche Nino Bixio e Giuseppe Garibaldi. Fu lui a scrivere il testo di ?Fratelli d?Italia?, che venne musicato dal maestro Novaro, e nel 1949 divenne l?inno ufficiale della repubblica italiana. Mameli, inoltre, combatté, distinguendosi per eroismo, a fianco di Garibaldi (di cui era amico e aiutante) a Palestrina e Velletri, nei giorni dell?assedio a Roma. Fu ferito a una gamba al Gianicolo, e morì solo un mese dopo, per un?infezione, causata dell?assoluta inadeguatezza delle cure che gli furono prestate.
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