Welfare

La prima scuola delle Seconde Opportunità

A Milano e Lodi un’esperienza modello contro la dispersione ideata dalla Fondazione Sicomoro. «L’idea mi è venuta nel 2001, mentre ero in una parrocchia del Gratosoglio, un quartiere alla periferia sud di Milano, ricco di potenzialità, ma anche di difficoltà. Girando le case di mattina per le benedizioni natalizie, ho visto che molti ragazzi erano sul divano, invece che sui banchi», racconta padre Eugenio Brambilla

di Diletta Grella

«Tutte le scuole dovrebbero essere così. A scuola ci andrebbero tutti e nessuno avrebbe problemi!». Richard, 16 anni, voce timida ma decisa, è uno dei ragazzi che frequenta la Scuola della Seconda Opportunità, fondata a Milano da padre Eugenio Brambilla, 18 anni fa. «Il nostro obiettivo è quello di combattere la dispersione scolastica e di dare una occasione, una seconda opportunità appunto, a tutti quei ragazzi che hanno abbandonato la scuola dell’obbligo o che corrono il rischio di abbandonarla», spiega padre Eugenio.

«L’idea mi è venuta nel 2001, mentre ero in una parrocchia del Gratosoglio, un quartiere alla periferia sud di Milano, ricco di potenzialità, ma anche di difficoltà. Girando le case di mattina per le benedizioni natalizie, ho visto che molti ragazzi erano sul divano, invece che sui banchi . Mi sono rivolto a una dirigente scolastica e insieme abbiamo cercato una soluzione a questo problema, che è un problema di tutti».

Padre Eugenio inizia a insegnare a quattro di questi ragazzi nei locali della parrocchia. Il bisogno però è grande, i ragazzi da aiutare molti e gli spazi insufficienti. Nel 2007 la Scuola apre una seconda sede nel quartiere Barona e nel 2015 trasferisce entrambe le aule all’interno dell’Istituto Comprensivo Arcadia di Milano, dove si trova ancora. Una seconda Scuola viene aperta a Lodi nel 2014. «Ogni anno nella sede di Milano accogliamo circa una ventina di ragazzi dai 13 ai 16 anni e li suddividiamo in due classi. La frequenza è dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 al- le 13», racconta Giovanna Ragaini, coordinatrice dell’équipe educativa. Che aggiunge: «Questi ragazzi restano con noi per un anno scolastico, al termine del quale sostengono l’esame di terza media nella scuola da cui provengono. Collaboriamo con otto istituti scolastici statali del territorio, che ci segnalano i ragazzi in difficoltà. Dopo un colloquio, selezioniamo i più motivati. Anche i nostri docenti arrivano da queste scuole. Lavorano a stretto contatto con gli educatori e insieme programmano le attività. Mentre i primi si alternano al cambio dell’ora, un educatore rimane sempre in classe, durante tutta la mattinata».

Un progetto in cinque fasi
Gli educatori hanno un ruolo fondamentale di ascolto e di relazione; stanno vicino al ragazzo e sono i garanti del suo progetto educativo. Che prevede cinque fasi: la prima è quella dell’“accoglienza”, in cui i ragazzi imparano a conoscersi e ad accogliersi reciprocamente; segue la “fiducia”, in cui scelgono di fidarsi della scuola e di sé stessi; poi c’è l’“orientamento”, in cui decidono la scuola superiore che frequenteranno; quindi la “responsabilità”, in cui dimostrano di impegnarsi; infine la “raccolta”, in cui si preparano ad affrontare l’esame di terza media.

E quasi tutti riescono a superarlo. «In classe non abbiamo cattedre, perché il nostro è un lavoro di gruppo: alunni, professori ed educatori lavorano insieme», continua Caterina Soresina Stoppani, coordinatrice dei docenti, «non abbiamo neppure libri di testo, che forse non verrebbero aperti. Ogni ragazzo ha un suo quadernone didattico che si costruisce lui, scrivendo e rielaborando i concetti che ascolta in classe».

I sogni dei ragazzi
Francesca ha 13 anni e mezzo, oggi studiare le piace e il suo quadernone è ricchissimo di appunti, tutti ben ordinati: «Nella scuola da cui provengo c’erano professori bravi, ma le classi erano grandi e non c’era tempo di stare dietro a tutti. Io ho bisogno di essere seguita. Qui lo fanno e io vado avanti. Dopo l’esame? Vorrei diventare una barista professionista». «Io invece vorrei fare l’elettricista, come mio zio:», spiega Said, «venire a scuola ora mi piace, prima non avevo voglia, non so perché…». «I nostri ragazzi sono come tutti gli altri», prosegue padre Brambilla. «Ragazzi spesso molto intelligenti e creativi che, non per colpa loro, ad un certo punto hanno deciso di non studiare più. Ragazzi che hanno bisogno di un luogo caldo e accogliente, ma anche esigente. L’esame di terza media è solo un primo obiettivo: noi vogliamo dare loro gli strumenti perché siano in grado di frequentare una scuola superiore, vogliamo aiutarli a riprendere in mano la loro vita. Per questo insistiamo su un concetto fondamentale: “Imparare è cosa mia”.

Ogni ragazzo deve essere consapevole che, se vuole costruirsi un futuro, non può delegare ad altri la sua formazione, perché lui stesso ne è l’unico responsabile». «Questa Scuola stimola il sentimento di autoefficacia, cioè la consapevolezza che, se ci si impegna, si ottiene un risultato positivo. Questa è la chiave per continuare ad impegnarsi», spiega Micaela Francisetti, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Ilaria Alpi, che collabora con il progetto. «Trovo importante che le lezioni avvengano all’interno di una vera scuola, come a significare che l’ambiente che aveva dato a questi ragazzi la percezione di essere rifiutati, oggi li fa sentire accolti», prosegue Gianpaolo Bovio, dirigente scolastico dell’istituto comprensivo Arcadia, che ha scelto di ospitare la Scuola in alcune aule vuote del plesso di via Feraboli. La Scuola della Seconda Opportunità rappresenta un modello interessante, e per molti aspetti unico, di lotta alla dispersione scolastica. Ma soprattutto rappresenta un modello sostenibile, grazie alla sua capacità di mettere insieme il pubblico (l’Ufficio Scolastico Regionale che invia i docenti; le scuole del territorio che segnalano i ragazzi in difficoltà e continuano a seguirli durante il percorso; il Comune di Milano che da sempre sostiene l’iniziativa) e il privato (i tanti donatori che sono vicini alla Scuola). Per organizzare al meglio questo modello, ma anche per diffonderlo, nel 2012 è nata anche la Fondazione Sicomoro.

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