In Italia il vizio è antico, ma forse è la prima volta che lo strumento della schedatura poliziesca viene utilizzato contro quella categoria di pericolosi sovversivi che chiedono l’elemosina agli angoli delle strade.
Una categoria, quella dei poveri, in rapida espansione, e non è difficile capirne le ragioni. Basti dire che, dall’inizio dell’attuale crisi, hanno perso il lavoro oltre un milione e duecentomila persone.
In alcuni paesi, in particolare l’Ungheria, ma anche l’Irlanda, la Svezia o l’Austria, i mendicanti e i senza dimora vengono perseguitati e perseguiti, in alcuni casi resi passibili di arresto. Da ultimo, ai senza tetto di Marsiglia è stato imposto un badge, da tenere visibile. Nel tesserino sono registrati i dati personali e sanitari della persona ed è corredato da un bel triangolo giallo, a reminescenza dei lager nazisti.
Nella città di Firenze, dicono le cronache odierne, dal marzo scorso l’amministrazione di centrosinistra si è limitata alla schedatura. Nella distrazione e silenzio di cittadini, media e anche associazioni; tanto che la vicenda viene ora alla ribalta solo perché l’Open Society Foundation, promossa dal finanziere George Soros, patrocina la causa legale intentata da tre mendicanti rom di origine rumena contro il Comune fiorentino. È la stessa fondazione che, dalla scorsa estate, a Lampedusa sostiene un progetto per la gestione delle politiche migratorie nel segno della cultura dell’accoglienza e della lotta alle discriminazioni; in questo caso, in alleanza con l’amministrazione comunale dell’isola, retta dal sindaco Giusy Nicolini.
Nel generale degrado e nella costante vulnerazione dei diritti dei più deboli, è una buona notizia che vi sia un magnate della finanza attento a sostenere quei diritti e una cultura solidale, e, in definitiva, ad attenuare ciò che tanti altri suoi colleghi e in generale il sistema della finanza globalizzata producono: vale a dire l’enorme crescita delle diseguaglianze e quelle crisi economiche che si traducono in aumento esponenziale delle povertà.
La notizia è un po’ meno positiva se la si valuta come indiretto indicatore di una corrispettiva incapacità delle organizzazioni italiane di denunciare con forza ed efficacia questo stato di cose e questa tendenza criminalizzante. In Europa si sta provando a farlo, con la campagna Poverty is not a crime (http://www.povertyisnotacrime.org). A Marsiglia le proteste hanno indotto il sindaco a rivedere l’iniziativa.
In Italia i processi di gentrificazione delle aree urbane, con le annesse campagne securitarie, e di criminalizzazione dei poveri sembrano trovare minori capacità di denuncia e di mobilitazione. Accogliere è certo fondamentale. Prima di tutto vanno date risposte immediate al bisogno. Lo si fa e lo si è fatto, con grande efficacia, ad esempio a Milano con la gestione dei flussi di profughi in fuga dalla guerra in Siria, con un’encomiabile sinergia tra Comune e associazioni, laiche e cattoliche. Ma, subito dopo la risposta di accoglienza e di emergenza, occorre interrogarsi.
Se non si tenta di andare a ricercare le cause del problema e le origini dei fenomeni, il rischio è di trovarsi a vuotare il mare con un cucchiaino. Cause che non si possono affrontare, né tanto meno risolvere, solo in tribunale.
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