Politica

«La politica torni ad investire nel dialogo sociale»

Per Paolo Venturi, direttore di AICCON, «occorre recuperare il significato della parola “consenso” scardinando quel riduzionismo che oggi spesso condiziona e depotenzia il valore dell'agire politico. Per farlo bisogna tendere alla “condivisione del significato” di ciò che si propone»

di Lorenzo Maria Alvaro

In questi giorni è circolata la notizia del primo laboratorio sul territorio di collaborazione tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico per le regionali in Umbria. Un format inedito con una piattaforma civica al centro, sostenuta dai partiti e guidata da un uomo del mondo sociale, il presidente di Confcooperative Umbria, Andrea Fora. «È un buon esempio del fatto che la capacità di un Paese di saper affrontare le sue crisi politiche passa dal ruolo attivo giocato dalla società. Non è un'assoluta novità, ci sono già stati esempi simili, ma certamente è un tentativo di rispondere ad uno dei principali problemi di questa fase politica in Italia: oggi le istanze sociali rimbalzano contro il muro di gomma degli addetti ai lavori», sottolinea Paolo Venturi, direttore di AICCON.


Che ci sia una diffidenza da parte dei cittadini nei confronti della politica è ormai un fatto assodato…
Appare infatti chiaro a molti (anche se solo in pochi sono disposti a dirlo pubblicamente) che la politica ridotta ad esercizio tattico e dentro una prospettiva di breve periodo stia producendo risultati distruttivi tanto sulla fiducia delle persone quanto sulle loro “tasche”

E questo diventa un nodo sostanziale. In fondo la politica si basa sul consenso…
Esattamente. Ma per uscire dal torpore e da “apatia”, serve uno scatto in avanti da parte della politica

Quale?
Fino ad oggi la politica ha inteso il consenso semplicemente come un vago “appeal” e ad una “percezione positiva” che i sondaggi certificano. Questa è una visione che ha il fiato corto, che porta a guardare al breve termine… Bisogna cominciare a generare consenso in altro modo. Intendendolo come con-senso, cioè condivisione di significati. Le politiche devono tornare ad impattare la vita delle persone. Quindi si genera condivisione solo a fronte di politiche che producono significati. Deve finire l'epoca della sola percezione. Ecco perché il consenso ha bisogno di tempo. Non deve essere il consenso “sondaggistico” a determinare le scelte politiche ma devono essere le scelte politiche a costruire a lungo termine il consenso.

E in questo come si colloca il sociale, largamente inteso?
Per ridare spessore e dignità alla politica e alimentarla di idee è necessario includere le comunità. Coinvolgere mondo civile e produttivo nella co produzione di proposte e soluzioni. È difficile che la politica da sola sia in grado di costruire ricette. In altre parole se la dimensione del consenso si misura con i significati, quello che viene dalla società, come i beni relazionali, il dono, il volontariato, l'impresa sociale e i corpi intermedi, non fanno altro che mettere in gioco significati. E vale anche per le imprese. La politica per ricominciare a produrre consenso deve forzatamente allearsi con chi facendo quotidianamente sociale, famiglia, impresa, mettono il senso al centro della propria azione.

Quindi la politica deve solo riconoscerli i significati, non generarli?
Esattamente. La politica non genera significati. Non è il suo lavoro. Deve invece intercettare quei significati che emergono e ci sono già. Le risorse tacite e le potenzialità inespresse che ha questo Paese sono enormi. Basti pensare che coprono gran parte del nostro welfare. Non è solo un pezzo di qualità questo mondo. Ma è una miniera anche di significati a cui riconnettersi. E questa la strada per uscire dal pantano. Non i contratti di governo.

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