Politica
La politica delle mezze cartucce
Scontro Bossi-Berlusconi, e mal di pancia a sinistra
Più il governo Monti procede lungo la sua rotta impervia, più crescono i malumori e mal di pancia nelle forze politiche che hanno la sensazione di aver perso il controllo, e soprattutto il consenso dell’elettorato. E così ieri Bossi ha insultato Berlusconi (“mezza cartuccia” se non ha il coraggio di staccare la spina) mentre a sinistra nel Pd si digerisce malamente la nuova apertura di Bersani a Vendola. La politica si riaffaccia dunque, nel momento in cui si acuiscono le tensioni sociali e le proteste delle categorie.
- In rassegna stampa anche:
- GIORNATA DELLA MEMORIA
- MINORI
- NO TAV
- TERZO SETTORE
- SIRIA
Il CORRIERE DELLA SERA prova a tenere alta l’attenzione sulle novità proposte dal governo e titola: “Così cambia il valore della laurea”, ma nel catenaccio scrive: “Berlusconi: non faccio cadere il governo. Bossi lo insulta: ha paura”. Giannelli sintetizza in vignetta, con Berlusconi più basso del solito, che si erge dal cassetto della scrivania per sfogarsi con Alfano di fronte a lui: “Mezza cartuccia a me?!! Non accetto provocazioni da quel mezza Lega di Bossi!”. E l’editoriale di Pierluigi Battista, invece, affronta il tema nella sua valenza politica: “Le spine e la spina”. Scrive Battista: “Per Bossi, Berlusconi sarebbe «una mezza cartuccia» se non staccasse la spina al governo Monti. È vero il contrario. Bossi si sta dimezzando come leader politico, prigioniero dei suoi stessi ricatti e lazzi, insulti e gestacci. Invece Berlusconi, confermando il suo appoggio al governo sta dimostrando, pur nel momento peggiore di una parabola politica ventennale, di avere forza, carattere e senso della responsabilità”. E così conclude: “Se Berlusconi rompesse con Monti, ne potrebbe ricavare un vantaggio immediato. I sondaggi diramano bollettini disastrosi, e la tentazione della piazza e dell’opposizione potrebbe apparire come una facile via per la salvezza. Ma Berlusconi ha detto nuovamente di no a una scorciatoia che condurrebbe l’Italia verso esiti ignoti. Per la seconda volta il leader del Pdl ha imposto al suo partito una via diversa da quella delle elezioni immediate. Non è detto, ovviamente, che il rapporto con il governo Monti non possa precipitare nei prossimi mesi. Ma per adesso la spina non viene staccata. Non una scelta da «mezza cartuccia», ma da statista intero. Gli avversari di Berlusconi dovrebbero avere l’onestà intellettuale di riconoscerlo. Potrebbero seguire l’esempio dello stesso Monti: che infatti si rifiuta di liquidare sprezzantemente l’esperienza del governo che l’ha preceduto”. La cronaca politica a pagina 5: “Berlusconi sostiene il premier. E Bossi: mezza cartuccia”. Annota Lorenzo Fuccaro: “Nell’inner circle berlusconiano si fa notare che Bossi tuona perché tenta di arrestare la presa sul quartier generale del Carroccio da parte di Maroni e per questo vorrebbe aprire la crisi in Regione Lombardia per potere candidare lo stesso Maroni al posto di Formigoni. Berlusconi è convinto che tutto si appianerà. «Sono sereno — dice — al momento opportuno il centrodestra sarà compatto». Ma ammette: «Adesso ci sono pochi motivi per essere ottimisti e sereni». E poi, alludendo ai 64 deputati che hanno disertato il voto sulla mozione Pd-Pdl-Terzo polo sull’Europa, osserva: «Ci sono comportamenti che sono anche comprensibili. Ma dato il momento non credo che le persone responsabili, tra quelle che hanno dato la fiducia al governo, possano tirarsi indietro»”. Pezzo di taglio: “Ma sul sì al governo il Pdl si spacca, ex an per le urne”. Racconta Paola Di Caro: “A unire il partito oggi c’è solo il panico proprio per le prossime amministrative, che rischiano di diventare «la nostra Caporetto» come dice un ex an spiegando che «dai nostri sondaggi, su 28 capoluoghi di Provincia oggi ne perderemmo 23». E in questo clima prendono corpo anche i peggiori fantasmi. Il più pericoloso è quello di una scissione tra la componente degli ex an (a parte Gasparri, i più duri nei confronti del governo) e il resto del partito, e ieri a confermare l’agitazione sono girati sondaggi commissionati «dai vertici del Pdl» in cui, testati come due partiti separati, l’ex An otterrebbe il 6% e l’ex Fi il 25%”. I malumori a sinistra li troviamo sul CORRIERE molto distanziati, a pagina 15: “La sinistra riparte da Vasto. Bersani apre, malumori nel Pd”. Scrive Maria Teresa Meli: “Bersani, ieri, è stato più che conciliante: «La mia prospettiva resta quella di un centrosinistra di governo che sottopone le sue proposte ai moderati e alle forze civiche». Come a dire che il nucleo originario dell’alleanza resta quello raffigurato nella foto di Vasto. Ed è questo che ha fatto scattare un campanello d’allarme in una parte del Pd. Beppe Fioroni, intervenendo al seminario «Moro, 50 anni fa il primo governo di centrosinistra», a cui ha partecipato anche il ministro Riccardi, è stato nettissimo: «Non possiamo pensare di sostenere oggi questo governo e, nel frattempo, di preparare per il domani un’alleanza elettorale con coloro che si sono schierati senza se e senza ma contro Monti». Dello stesso avviso Marco Follini: «L’immagine di Vasto è ingiallita, Bersani giri la macchina fotografica dall’altra parte»”.
Anche LA REPUBBLICA nel titolo di apertura dà un colpo al cerchio, cioè al governo (“La rivoluzione dei certificati”), mentre nel sommario lo dà alla botte: “Basta attese per i documenti pubblici. Berlusconi-Bossi, scontro su Monti”. A pagina 9 Giovanna Casadio riferisce la lite fra i due ex alleati. Con il leghista che chiede di staccare la spina (altrimenti cade Formigoni…) e il cavaliere che risponde picche: «noi siamo responsabili, non possiamo sfilarci… una crisi sarebbe da irresponsabili». In mezzo, prova a mediare Alfano: «stiamo scontando un momento difficile ma la nostra alleanza con il Carroccio non è finita», «non accettiamo ultimatum e intimidazioni dalla Lega, né li facciamo». Sarà. Nel Pdl però cresce un diffuso malessere: nel voto al Milleproroghe molti assenti, 5 astenuti. Nel versante Pd, qualcosa si muove: Di Pietro e Vendola tornano a sollecitare Bersani per «riaprire il cantiere del centrosinistra». Quanto sia praticabile però lo dimostra il voto sul decreto e soprattutto il commento dell’IdV: «l’avevano presentato come il Barcellona di Guardiola ma invece questo governo fa errori come una squadra di campetto di periferia»… In appoggio Francesco Bei approfondisce il malessere del Pdl: “Spunta la mozione unica sulle riforme e La Russa minaccia il gruppo autonomo”. Casus belli fra l’ex An e Cicchitto la sanatoria sui manifesti abusivi, stoppata da Monti. «Dovevi opporti al governo», ha gridato La Russa, «e invece hai fatto di testa tua. Ricordati che sei il capogruppo, non il leader. Se continui così noi la settimana prossima ce ne andiamo e facciamo un gruppo per conto nostro».
«Silvio Berlusconi e Umberto Bossi si pizzicano perché costretti a fare il gioco delle parti o perché sono seriamente sul punto di rompere la lunga amicizia?», si domanda Feltri su IL GIORNALE . «Fra il dire e il fare ci sono di mezzo tre regioni: Lombardia, Piemonte e Veneto. La Lega dice che se il Pdl non silura il governo Monti, silurerà Roberto Formigoni. Se salta la Lombardia saltano anche le altre due regioni. Molto difficile che Bossi rinunci a due presidenze quella di Roberto Cota e di Luca Zaja per fare un dispetto al vecchio alleato. Ecco perché pensiamo che i suoi attacchi al Cavaliere siano strumentali e servano per dimostrare alla base, sempre più pendente dalla parte di Roberto Maroni, che lui è il fondatore, non subalterno a nessuno e ha in mano ancora il pallino». E poi sulla frase che il leader leghista ha detto ieri “Berlusconi è una mezza cartuccia, ha sempre avuto paura”, Feltri aggiunge l’ulteriore frase di Bossi: «il Cavaliere non è stato abbastanza furbo da chiedere una buonuscita quando ha lasciato Palazzo Chigi». A cosa alluda Bossi non è dato sapere. Si potrebbe cercare di indovinare però non sarebbe un esercizio giornalisticamente corretto». E Feltri conclude: « Bossi senza la stampella del cavaliere sarebbe condannato a stare all’opposizione, dove si tira a campare, ma non si decide nulla».
Ampio richiamo in prima pagina del MANIFESTO, in posizione di falsa apertura per “Il «cantiere» non è chiuso Idv e Sel chiamano Bersani” con un grande articolo che apre pagina 2 dal titolo “Come si scrive il dopo Monti?” e articoli che fanno un giro d’orizzonte sulle sinistre e i verdi, mentre nella pagina accanto si guarda alle sinistre europee da Hollande in Francia, alla Spagna, alla Grecia e un’analisi sulle sinistre del continente europeo dal titolo “C’è vitalità sul pianeta rosso, ma la sfida è l’Europa”. Per Bossi e Berlusconi, invece, nessun richiamo e un articolo di taglio basso a pagina 4 “Bossi: «Silvio ha paura è una mezza cartuccia»”. Qui si cerca di analizzare quanto la minaccia di Bossi sia reale «(…) in Lombardia, ma non solo, correre da soli per il Pdl, ma anche per la Lega, significherebbe perdere (…) Per quanto riguarda il sostegno a Monti, non saranno le battute di Bossi a determinare un cambiamento di rotta del Pdl». L’articolo si conclude con lo scambio di battute tra Bossi e Bersani «(…) Bossi gli ha risposto col sorriso sulle labbra: “Ma vaffa…”. E sì, la politica, è una cosa seria». Tornando al “cantiere” nell’articolo si nota che «(…) ieri Nichi Vendola e Antonio Di Pietro da una parte e Pierluigi Bersani dall’altra hanno fatto due passi. Convergenti». E più sotto «In concreto si tratta di riaprire quei “tavoli” del “nuovo Ulivo” (ma nessuno lo chiama più così) velocemente ripiegati allo spuntare del governo Monti (…)». Il pensiero di Vendola è riassunto nel capopagina in grigio: “Vendola: allarghiamo la foto di Vasto alla società civile, lavoriamoci assieme al Pd a prescindere da quello che fa con l’esecutivo Monti” e per esplicitare questo pensiero c’è un’ampia intervista a Bonelli dei Verdi che nel titolo dice «Il Pd molli il governo».
IL SOLE 24 ORE dedica alla politica la pagina 7, lasciando tutto lo spazio alle questioni del centrodestra. Il Punto di Stefano Folli si intitola “Il trambusto leghista e la via obbligata del Pdl: ecco la destra oggi”: «Una cosa è chiara: Silvio Berlusconi oggi non ha voglia o convenienza a “staccare la spina” al governo Monti. Il Berlusconi di dieci anni fa forse l’avrebbe fatto, ma oggi l’uomo è stanco. Misura i passi, vola basso e ha rinunciato alle iniziative dirompenti di un tempo. Vuole ancora contare sulla scena, ma per riuscirci sa di dover interpretare un ruolo costruttivo. Oggi Berlusconi conta perché lascia a Monti tempo e spazio per governare il paese. Non è generosità, ma un calcolo d’interesse: se i “tecnici” devono cadere, che sia per le contraddizioni della sinistra e non per le convulsioni della destra. Nel frattempo, quello che preme a Berlusconi è di tenere unito per quanto è possibile il Pdl. Così da poterlo usare al momento opportuno come strumento di pressione politica ed elettorale. Questo andazzo ha fatto saltare i nervi a Bossi, e non è la prima volta. Ma gli insulti (“mezza calzetta”) e le minacce (“o molli Monti o noi molliamo la Lombardia”) tradiscono l’affanno e la debolezza politica della Lega. È vero che i sondaggi indicano il Carroccio fra il 9 e il 10 per cento dei suffragi su scala nazionale, tuttavia sono voti che rischiano di pesare sempre meno a Roma, specie se Monti si consoliderà e il suo governo otterrà qualche buon risultato. Bossi non è certo uno sprovveduto e sa bene che le liberalizzazioni operate dai “tecnici” incontrano il favore di una buona fetta di elettorato leghista. È proprio quello che il centrodestra avrebbe dovuto fare quando era al governo e non ha saputo o voluto fare. L’elettorato nordista si chiede perché. Bossi fa sempre più fatica a spiegare le ragioni per cui la Lega si oppone in questa forma scomposta e aggressiva a un governo che, bene o male, agisce interpretando stati d’animo diffusi al Nord e condivisi almeno in parte dai seguaci del vecchio Carroccio. Così si genera frustrazione e rabbia. Le amministrative si avvicinano e la Lega cercherà di non rompersi le ossa. Perciò tenta fin da oggi di rendersi visibile, avviando il braccio di ferro con il Pdl».
Su ITALIA OGGI un pezzo a pagina 4 di Antonio Calibri “La Caduta di Formigoni fa comodo sia a Berlusconi sia a Bossi” sostiene che gli insulti di Bossi al Cav siano strumentali per riprendersi la base e accontentare Maroni. «Se si dovesse liberale quella poltrona (di Formigoni)» scrive Calitri «Maroni verrebbe invitato a dimostrare la sua forza in campo e verrebbe candidato governatore». Ma non per vincere. Secondo le previsioni di Calitri, una probabile alleanza Pdl Terzo Polo «manderebbe la Lega all’opposizione e a uscirne con le ossa rotte sarebbe proprio Maroni che avrebbe dimostrato che da solo non è in grado di andare da nessuna parte. E Bossi tornerebbe leader indiscusso». Nel pezzo “O Bersani o la vita” spazio alle grandi manovre del centro sinistra e spazio alla strategia di Veltroni che vede nella svolta di Bersani a sinistra «lo spiraglio per tornare a riprendersi il partito o per lo meno per isolare suoi nemici all’interno del Pd lasciandoli al loro destino».
Silvio Berlusconi «accarezza l’esecutivo», dicendo che «è difficile avanzare critiche fondate». Pochi metri più in là, «il senatur abbassa gli occhi, ma affonda colpi duri a quello che fino a qualche settimana fa era l’alleato di ferro: “Berlusconi? È una mezza cartuccia, ha paura”». Così AVVENIRE racconta della «aria brutta» che tira a Montecitorio, con il dissenso verso Monti che cresce nel Pdl, nella Lega e negli ex An. «Non stacco la spina, è l’ora della responsabilità», dice Berlusconi. «Tutti si fanno la stessa domanda, conoscendone già la risposta: il governo andrà avanti». Uno studio riservato portato da Berlusconi al vertice dello stato maggiore del PDL gli dà ragione: nell’ipotesi di una federazione di due partiti al Nord, il gruppo Pdl fedele a Monti sarebbe il 25%, gli identitari ex An al 5%, in totale 6 punti in più di quanto è quotato oggi il Pdl, per cui «la Lega non può far paura». E spunta l’ipotesi di «un rimpasto di governo che permetta ai partiti di tornare sulla scena».
Le vicende dei partiti italiani si trovano solo a pagina 10 de LA STAMPA, con il retroscena di Ugo Magri. «Tra Berlusconi e Bossi tira aria di secessione: nel Pdl si guarda all’Udc» è il titolo. «Berlusconi sotterra l’ascia di guerra», scrive Magri. «Anzitutto, sussurrano a Palazzo Grazioli, le forze che si scatenarono contro di lui in autunno tornerebbero all’assalto se solo Silvio si azzardasse a tirar fuori la testa. Meglio lasciar perdere, almeno adesso. E poi, il Cavaliere è stato molto lavorato ai fianchi da quanti nel Pdl considerano il governo Monti un autobus. Diretto dove? Verso la nascita del Partito popolare europeo, sezione italiana. Passando attraverso un patto di alleanza elettorale con l’Udc. Non è mistero che Alfano ci stia lavorando sodo. E’ andato lunedì dalla Merkel, presentato da Frattini. E direttamente da Berlino i due hanno telefonato ad Arcore per riferire il giudizio tutto sommato benevolo della Bundeskanzlerin», così il Cavaliere, «avido di riconoscimenti, ne è stato lusingato e confortato nella linea filo-Monti». Insomma nel Pdl c’è chi cerca di agevolare il cammino del Professore. Tra questi «c’è sicuramente Cicchitto. Non è sfuggita la discussione molto accesa in piena Aula con il collega di partito La Russa, che gli rinfacciava di aver dato una mano a cancellare le multe ai partiti per i manifesti affissi fuori posto. “Non potevamo essere i soli a difendere l’illegalità”, ha reagito il capogruppo, mandato a quel paese dall’ex-ministro. L’episodio è la punta dell’iceberg. Specie gli ex di An (ma pure alcune “pasionarie” berlusconiane) non vedono l’ora di galoppare insieme con la Lega nelle praterie dell’opposizione. Berlusconi, in una delle solite riunioni notturne, ha provato a calmarli (“No alla crisi ora, perderemmo la faccia; Bossi tornerà con noi, sono assolutamente sereno…”) . Però il fossato tra le due anime si va allargando al punto che circolano sondaggi di quanto prenderebbero Forza Italia e gli ex di An, se corressero alle prossime elezioni divisi. Si allunga sul partito l’ombra di una scissione. C’è chi già rinfaccia ad Alfano la prossima batosta alle amministrative (“Su 28 capoluoghi ne perderemo 23”), e chi non vede l’ora di divorziare (“La Russa e gli altri tornino pure a fare i missini, l’intesa con Casini sarà più semplice”)».
E inoltre sui giornali di oggi:
GIORNATA DELLA MEMORIA
LA STAMPA – Il quotidiano torinese dedica le due pagine di apertura della Cultura al ricordo dell’Olocausto. Viene pubblicato l’intervento dello scrittore Abraham Yeoshua: «Ma l’Olocausto non è misura di tutte le cose». Comincia così: «Pur caricandoci di un grande peso, l’Olocausto ci pone di fronte a delle sfide chiare. Come figli delle vittime, ci incombe l’obbligo di enunciare al mondo alcuni insegnamenti fondamentali. Il primo è la profonda repulsione per il razzismo e per il nazionalismo. Abbiamo visto sulle nostre carni il prezzo del razzismo e del nazionalismo estremisti, e perciò dobbiamo respingere queste manifestazioni non solo per quanto riguarda il passato e noi stessi, ma per ogni luogo e ogni popolo. Dobbiamo portare la bandiera dell’opposizione al razzismo in tutte le sue forme e manifestazioni. Il nazismo non è una manifestazione solamente tedesca ma più generalmente umana, di fronte a cui nessun popolo, e insisto, nessun popolo è immune». Nelle pagine dei commenti, invece, l’intervento di Elena Loewenthal: «Auschwitz, l’antidoto è il silenzio». Scrive la Loewenthal: «Una palestra di Dubai che, per rendere convincente la promessa di addio alle calorie, usa per la sua campagna pubblicitaria una gigantografia dell’ingresso di Auschwitz. Degli ultraortodossi indignati con il governo israeliano e dei loro concittadini indignati vuoi con la polizia vuoi con gli avversari politici, che si battono a suon di stelle gialle appuntate sul petto ed esclamazioni «nazista!» elargite un po’ qua e un po’ là. Stelle gialle, ancora, usate da islamici di Svizzera per protestare contro la discriminazione. Per non parlare di chi con queste armi va nella direzione opposta: rimpiangere quei tempi e auspicarne il ritorno. E non sono pochi. Il giorno della memoria cade in un anniversario tanto feroce quanto ambiguo: il 27 gennaio, infatti, Auschwitz fu liberata. Quelle porte si aprirono. Sarebbe, teoricamente, un momento festoso: la fine di un incubo, di un inferno bruciato per anni dentro l’Europa. In realtà, è un giorno di sgomento, di occhi sbarrati di fronte a quell’assurdità: come è potuto succedere? Le porte aperte di Auschwitz furono sì, liberazione. Ma furono anche e soprattutto svelamento di una ferocia quale non s’era mai vista».
MINORI
LA REPUBBLICA – “Un miliardo per sfamare il mondo”. Oltre un milione di bambini salvati dalla malnutrizione in un anno, 36 milioni di vaccini distribuiti. Ma ancora non basta: l’Unicef lancia un appello ai paesi ricchi: versare più fondi per le emergenze dal Corno d’Africa alla Corea del Nord. Basterebbero 1,3 miliardi, scrive l’Unicef, per salvare cento milioni di bambini. Una parte dei fondi andrebbe al continente nero, a partire dalla Somalia, poi ad Haiti e al Punjab. In appoggio l’intervento a Davos di Bill Gates: “La crisi non sia un alibi per tagliare gli aiuti agli ultimi della terra”.
NO TAV
IL MANIFESTO – “Sovversivi” questo il titolo di apertura a sfondare sulla foto di due pacifici signori in primo piano e sullo sfondo vacche al pascolo e la scritto “No tav”. Il sommario che rinvia alle due pagine (la 6 e la 7) dedicate al tema che riassume: “26 arresti, perquisizioni e denunce per gli scontri dopo lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, lo scorso luglio in val di Susa. Fermato anche un consigliere comunale di un paese della valle. I No Tav si mobilitano: «Sabato torniamo in piazza»”. A pagina 6 il titolo di apertura è: “Una retata nel mucchio”. Diversi gli articoli che analizzano alcuni degli arrestati mentre a pagina 7 si trova il commento di Ugo Mattei dal titolo “Cittadini attivi, non terroristi”: «C’ero anch’io sui sentieri di Ramats lo scorso tre luglio e la sera sono rientrato incredulo di fronte all’ aggressione irresponsabile delle forze dell’ordine ai manifestanti, saliti in montagna per una sacrosanta protesta in risposta allo sgombero della Libera Comunità della Maddalena, avvenuto solo pochi giorni prima (…)» E ancora «(…) L’attacco alla legalità e il tentativo di obliare il senso politico delle lotte di primavera iniziava ad agosto con un susseguirsi di provvedimenti di pseudo-urgenza che ancora in troppo pochi ci sgoliamo per denunciare e per chiamare con il loro nome: emergenza democratica! (…) Ieri mattina la retata, volta a criminalizzare e intimorire non certo il solo movimento No Tav, che subisce questa sorte da vent’anni, ma proprio quel dissenso, quella solidarietà, quella cittadinanza attiva che lega in una sola lotta per i beni comuni le tantissime vertenze aperte sul territorio da chi rifiuta la logica dello stato di eccezione (…)».
TERZO SETTORE
AVVENIRE – Editoriale di Luigino Bruni su Terzo settore e tempo della festa, ovvero sulla (mancata) considerazione della cooperazione sociale e del terzo settore in tempi di liberalizzazioni. «Il Terzo settore italiano ha essenzialmente una natura produttiva, non redistributiva come nel modello filantropico-restitutivo degli Usa. […] Ma di questi tempi quando si sente parlare di impresa è forte l’impressione che nel Governo, in Parlamento e sui giornali ci sia chi ha in mente soltanto l’impresa capitalistica – grande, piccola o media che sia – e che si collochi nel mondo del volontariato quell’altra miriade di soggetti economici che pure creano ricchezza, valore aggiunto e posti di lavoro. […] Occorre tener presente invece che l’impresa tradizionale non potrà più creare posti di lavoro come prima della crisi, né tantomeno potrà farlo lo Stato. In simili momenti è la società civile che ha inventato nuovi lavori e nuova ricchezza, qualcosa di simile dovrà avvenire anche oggi, purché il Governo lo veda e agisca di conseguenza sul piano fiscale».
SIRIA
IL MANIFESTO – “La conta dei morti a senso unico” è questo il titolo di un articolo a pagina 8. Qui si racconta, come spiega il sommario “Il lavoro di «controinformazione» di madre Agnès-Mariam, superiora del convento di San Giacomo vicino Damasco”. «(…) Palestinese di nazionalità libanese Agnès Mariam de la Croix si è attirata gli strali della stampa francese (lei è francofona) che l’accusa di essere pro-Assad. Ma lei sente l’urgenza della verità, per contrastare “un piano di destabilizzazione che vuole portare a uno scontro confessionale e alla guerra civile un paese che è sempre andato fiero della convivenza”. Nei mesi, il conflitto sembra essere passato “da una rivendicazione popolare di riforme e democrazia a una rivoluzione islamista con bande armate” (sostenuta dall’esterno: petro-monarchie del Golfo, Occidente, Turchia)…..». La suora sta stilando una lista di civili uccisi e feriti per opera di bande armate e non nel corso delle proteste, una lista molto precisa con nomi, date, indirizzi e circostanze di ferimenti e uccisioni.
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