Persone
La poesia di Arminio per Francesco: «Un Papa più attento agli uomini che a Dio»
«Molti capi del mondo dovrebbero vergognarsi per non aver ascoltato le sue esortazioni», dice il poeta Franco Arminio. «Ogni bomba lanciata in ogni luogo è stata lanciata anche contro il suo corpo». In queste ore Arminio ha scritto una poesia: "Per noi e per Francesco". La trovate in coda a questo dialogo
di Anna Spena

«La prima cosa che ho pensato quando ho saputo della morte del Papa è che forse ha pesato sulla sua salute anche il dolore per le sue inascoltate implorazioni contro la guerra e contro il riarmo», ha raccontato il poeta Franco Arminio.
«L’accanimento nel seguire le vicende dell’attualità lo ha portato senza timore a privarsi di quell’aura teologica che hanno avuto altri Papi. Forse molti capi del mondo dovrebbero vergognarsi per non aver ascoltato le sue esortazioni. Ogni bomba lanciata in ogni luogo in questi anni è stata lanciata anche contro il suo corpo, un corpo bombardato da una responsabilità enorme e da una grande solitudine. Forse alla fine la poesia, che amava, era una delle poche compagnie sicure».
Dalla speranza al disarmo fino a una chiesa che deve camminare per il mondo. «Io sono un poeta», dice Arminio. «Non uno studioso. E con i miei occhi da poeta dico che la sua morte è una perdita grande per tutti. Francesco è stato un uomo lungimirante, un Papa più attento agli uomini che a Dio». Perché noi oggi «non abbiamo bisogno di una fede astrusa che ripete stancamente i suoi riti. Ma di una fede che, mentre la vera religione è diventata il capitalismo, torna in mezzo alla strada». Francesco «veniva ascoltato anche con un po’ di fastidio per le sue idee. E ora siamo davanti alla fiera dell’ipocrisia mentre da morto se ne tessono le qualità quando invece da vivo è stato, ripeto, inascoltato».
Gli appelli per la fine delle guerre da Gaza al Sudan. L’accoglienza dei migranti. I diritti dei detenuti. «Nessuno tra “quelli che decidono” ha preso in considerazione le sue parole. E questa è una cosa che lascia con l’amaro in bocca». Ma il Papa era una persona e quindi «penso al dramma umano», dice Arminio. «Alla solitudine. Mi chiedo se in quel momento c’era qualcuno a stringergli la mano. Il mio pensiero va al suo ultimo giorno di sofferenza terrena. Si è speso fino alla fine per la pace, per tenerlo vivo dovremmo fare lo stesso tutti noi».
E proprio in queste ore dove non si parla di poesia, dove «la poesia», dice il poeta, «pare sempre una questione marginale e invece non lo è» Arminio, per lui, una poesia l’ha scritta e non solo per lui, e infatti l’ha titolata Per noi e per Francesco.
“Noi non siamo l’essere,
noi siamo in mezzo agli altri esseri,
siamo in mezzo agli umani
e agli animali e alle piante
e in mezzo alle pietre,
in mezzo al buio e nella luce,
nella polvere dell’universo,
lontani dai noi stessi
e dalle stelle.
Per l’uomo che è morto stamattina
l’impresa più grande
non era quella di fare il Papa
ma di aver raggiunto un luogo
in cui si può abitare la paura
e costruirsi una propria storia.
Francesco ci invitava ad essere
l’inizio di noi stessi, a farla finita
con l’esitazione e l’allusione
e divenire spazio aperto, spazio
di chiarore, danza degli affetti
nella caduta verso il niente.
Solo se accettiamo che la nostra vita
è per metà nostra e per l’altra
metà è nel divino
possiamo sentire un soffio di vento
nella campana di vetro.
Nasce veramente chi non si stanca
di nascere continuamente,
chi sa che ogni cosa al mondo
ha un sedimento losco
e bisogna fare pulizia ogni giorno
se vogliamo toccare alla radice
la feccia di ogni guerra.
Ora che la sconsolata solitudine del Papa
è finita, ora dobbiamo provare veramente
a fargli compagnia”.
Il 16 maggio Franco Arminio sarà al Salone di Torino dove presenterà assieme a Carlo Petrini il libro di Francesco, Viva la poesia! (Ares), curato da Antonio Spadaro.
AP Photo/Andrew Medichini/LaPresse
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