Famiglia

La piazza della realtà e la piazza dell’astrazione

A San Giovanni c’era un popolo vero, allegro, molto propositivo, trasversale rispetto agli schieramenti. A piazza Navona c’era invece la rappresentazione del solito teatrino politico...

di Riccardo Bonacina

Solo un?astrazione politica e mass mediatica poteva inventarsi l?opposizione tra due piazze, quella del Family day e quella del Coraggio laico. Infatti, il 12 maggio a Roma, di piazza ce n?era solo una. A piazza Navona c?era il solito salotto fatto di circoli politici e mondani. Mentre in piazza San Giovanni c?era un popolo vero di famiglie e bambini, disordinato, ma assolutamente festoso, nessuno slogan ?contro?, solo qualche ironia, con un solo obiettivo, dire: «L?Italia siamo anche noi».

Togliete i politici in cerca di giornalisti da piazza Navona e la vedrete nuda, vuota, fate la stessa cosa per piazza San Giovanni e rimane l?evento di popolo per quel che è. Berlusconi, per esempio, in quella piazza è passato per se stesso senza che neppure la piazza lo sapesse. Togliete la Bonino e Boselli dal palco di Coraggio laico e non rimane nulla. In piazza San Giovanni i leader politici erano ridotti a comparse invisibili alla folla, in piazza Navona i politici erano gli unici protagonisti, a far da comparsa la solita folla di turisti. Stupidamente a piazza Navona hanno voluto alzare il vessillo della laicità che è ben altra cosa dei vizi autoreferenziali di un salotto affollato che vive a spese dello Stato.

Una piazza di popolo
Piazza San Giovanni è stata una piazza totalmente eccentrica alla politica e al suo teatrino, persino nell?opposizione, misurata, espressa al disegno di legge sui Dico. è stata una piazza che s?è rappresentata per quel che è (piazza di famiglie vere ed è stato questo il messaggio certamente più potente rispetto al talk show stanco inscenato sul palco) e che cerca risposte alle sue fatiche e ai suoi disagi. Piazza Navona è stata una piazza totalmente dentro la politica e il suo teatrino persino nella conta, ex post, di chi c?era e di chi no.

Berlusconi che ha cercato di usare il Family day con una comparsata e con la dichiarazione dell?incompatibilità «tra cattolici e sinistra», così come Prodi che ha parlato del ritorno «di un?Italia di guelfi e ghibellini», hanno dimostrato di usare vecchi arnesi e categorie che certo non aiutano a capire la novità politica di piazza San Giovanni. E la novità che il Family day ha reso evidente è che c?è un bel pezzo di questo Paese che i mass media e la politica non solo non rappresentano, ma che addirittura non riescono né ad intercettare né, ed è peggio, a capire. Ed è una parte di Paese di cui si può andare orgogliosi perché orientata al bene. Questo dato è ormai un problema di democrazia reale in Italia, un Paese in cui le élite paiono aver definitivamente consumato la loro secessione dal popolo.

Un dato che Savino Pezzotta, parlando davanti al milione di piazza San Giovanni ha voluto marcare: «L?Italia popolare fatta dalla gente che lavora e che fatica, come voi che siete qui, e non da chi frequenta i salotti, sa bene cos?è la famiglia. Questa non è una piazza contro, non è una piazza guelfa, ma è una piazza degli italiani senza distinzioni di fede, di cultura, di orientamenti politici, che sono qui per affermare che la famiglia deve avere una rilevanza sociale, politica e civile».

Famiglia, capitale sociale
«Famiglia = capitale sociale», recitava uno degli striscioni più visibili della piazza, richiamando uno dei concetti più insistiti e forti anche di questo giornale. Come ha spiegato la laica Eugenia Roccella, con Pezzotta portavoce del Family day: «La famiglia così come la riconosce la nostra Costituzione si fonda sul matrimonio, cioè su un impegno preso davanti alla collettività, un impegno di forte durata, basato su doveri reciproci e sulle garanzie per le parti più deboli, i figli in primo luogo. Certo, le famiglie qualche volta si rompono, ma sono preziose in ogni caso perché proteggono gli individui dall?invadenza dello Stato e del mercato e creano quel senso profondo di appartenenza, di consapevolezza delle origini, di solidarietà intergenerazionale così necessario allo sviluppo dell?individuo».

Riferendosi al disastro antropologico e culturale provocato dalla dittatura dei consumi, Pasolini scriveva nel dicembre 1973: «Il nuovo potere ha cominciato un?opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto il suo modello che non si accontenta più di un ?uomo che consuma?, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico». E parlando del Pci e del suo rapporto con il popolo, annotava: «L?abiura (ndr, del popolo) è oramai compiuta». Eppure Pasolini non ebbe la sventura di leggere Liberazione.


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