Non profit

La percentuale del rischio

di Elena Zanella

Complici la crisi e il Natale ormai alle porte, sono sempre maggiori gli stimoli che ricevo e che mi fanno dire che è meglio riaccendere l’attenzione sul tema. L’oggetto della discussione è sempre e solo uno: il guadagno su base percentuale nel Terzo Settore. Un tema caldo. Anzi, caldissimo. Di cui è sempre più urgente parlare. In modo serio e concreto.

Quella della retribuzione a provvigione ha varcato il limite dei dialogatori di strada (chuggers, per dirla con una parola cara agli inglesi) approdando alla pratica del fundraiser, soprattutto giovane e con poca esperienza. Il tema quindi non è più da considerarsi circoscritto (se mai lo è stato, naturalmente), bensì più ampio e allarmante.

Ma andiamo con ordine.

Nei giorni scorsi, ho ricevuto un’e-mail da una giovane laureata che mi chiedeva un consiglio oggettivo sull’accettare o meno un secondo colloquio per il ruolo di dialogatore.

Mi piacerebbe lavorare nella comunicazione sociale/fundraising per il nonprofit. (…) Purtroppo però le offerte scarseggiano: solo stage gratuiti, cosa che non mi posso permettere, oppure ruoli di alto livello con molti anni di esperienza alle spalle. Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un’offerta di ricerca dialogatori (di una ONG nota, ndr). (…) ho sempre sentito opinioni molto controverse su questa attività (…) volevo comunque provare e giudicare in prima persona. Dopo poco sono stata ricontattata e ho fatto il primo colloquio. Da una parte si sono dimostrati subito molto seri, nel senso puntavano molto a farmi capire che le loro “tecniche” di azione sono molto professionali, evitano gli ammiccamenti, le pacche sulle spalle, l’aggressività nei confronti dei passanti, essendo consapevoli che il dialogatore rappresenta una figura chiave per loro, è un tramite tra l’organizzazione e l’opinione pubblica. Dall’altra però, non esiste un fisso mensile, si lavora su provvigioni, cioè su quante sottoscrizioni si riescono a fare. (…) Il contratto sarebbe solo fino a fine dicembre, perché poi, dicono, vogliono cambiare le modalità retributive, introducendo un minimo fisso mensile (…). Molto onestamente credo che una grande onlus che si impegna ad aiutare le popolazioni povere non possa poi sfruttare (…) chi sogna di contribuire a cambiare il mondo. Poi però subentra la mia parte più veniale diciamo così, quella terra terra. Affermano che “non è difficile riuscire a fare almeno 12 sottoscrizioni al mese, che ti garantirebbero 900€ lordi, che per un lavoro part-time non è poco” (…). Soprattutto vorrei cercare di capire se può essere un’esperienza che vale la pena fare, sia dal punto di vista personale sia per entrare dalla porta sul retro nel mondo del nonprofit.

Negli stessi giorni, vengo a conoscenza dell’esperienza di un fundraiser:

Dopo aver cercato invano un lavoro stabile all’interno di un’organizzazione, io, giovane fundraiser agli inizi della mia carriera, ho deciso di accettare un lavoro a percentuale. Tutte le attività extra? Intendo dire quelle di produzione di strumenti di comunicazione o di lavoro manuale vero e proprio all’interno della mia ONP vengono considerate “attività di carattere volontario”.

Facciamo qualche considerazione oggettiva sulle conseguenze dirette e indirette del proporre e dell’accettare un lavoro a percentuale nel Terzo Settore.

SPECCHIETTI PER LE ALLODOLE

PROPORRE un lavoro a percentuale nel nonprofit significa infrangere il primo tabù universalmente riconosciuto non solo dalle associazioni di categoria ma dall’etica stessa della professione e del settore in generale: ovvero, significa anteporre gli obiettivi di business a quelli di tutela del valore della persona. Di più, è un approccio altro rispetto allo spirito imprenditoriale perché manca di una delle sue fondamenta: la propensione al rischio. L’assunzione di parte del rischio è maturità. Diversamente, chiamiamolo pure opportunismo. Ma se l’opportunismo è tollerabile nel profit, diventa ipocrisia nel nonprofit. Lo specchietto per le allodole è il guadagno alto a fronte di un impegno di tempo da autogestire. La frustrazione per il raggiungimento degli obiettivi è invece la spada di Damocle sull’aorta del nonprofit. Esistono altri modi. Contenuti, a basso rischio, più in linea con i propositi e i valori che avochiamo. Il racconto della giovane ne parla.

LUCCIOLE PER LANTERNE

ACCETTARE di lavorare a percentuale significa rendersi complici, in modo inconsapevole, dell’appiattimento della qualità del lavoro nel Terzo Settore e dei valori del Terzo Settore. Significa legittimare a perpetrarne l’utilizzo. Ora e sempre. Non ci saranno mai tempi migliori… Non entro nel merito delle ragioni di ciascuno. I tempi non sono facili e le condizioni proposte non sono sempre le più favorevoli ma se si vuole lavorare nel Terzo Settore, e lo si vuole davvero, occorre contribuire a migliorarlo. Non a minarne le basi. Questo a garanzia della propria e dell’altrui professionalità. Questo a salvaguardia di una professione, quella del fundraiser, che abbiamo scelto e su cui abbiamo scelto di fare cultura. Ecco, la cultura comincia da qui. Meglio non scambiare lucciole per lanterne: potrebbe non essere il modo migliore per entrare nel Terzo Settore, neppure dalla porta sul retro.

Parlo a proposito di “percentuale del rischio” e non di “percentuale di rischio”, perché il rischio reale è quello di una perdita di reputazione e di credibilità non solo della professione ma dell’intero Settore. Il circolo è vizioso. Quando si mette in moto, come la storia insegna, è perdente. E lascia dietro di sé morti e feriti. Donatori. Destinatari di servizi. Lavoratori. Organizzazioni. Società civile. Nessuno escluso.

E’ forse sbagliato parlare di mercificazione del nonprofit e mortificazione della professione? Gli ingredienti ci sono tutti. Nessun moralismo. Nessuna giustificazione. Ma ne vale davvero la pena?

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