Welfare
La pensione va in briciole
Il 42% dei giovani non arriverà a mille euro. Censis e Unipol lanciano Welfare, Italia Laboratorio per le nuove politiche sociali
Prepariamoci. I 25-34enni che oggi hanno mille euro di stipendio avranno, nel 2050, una pensione ancora più bassa. Lo rivela una indagine – Affrontare il futuro. Le tutele sociali nell’Italia che cambia – condotta dal Censis e dall’Unipol e presentata oggi a Roma nel corso di un convegno organizzato all’interno del progetto Welfare, Italia Laboratorio per le nuove politiche sociali.
L’Italia che cambia
Ma questa (relativa al 42% dei giovani impiegati) non è la sola previsione ragionata su cui il Censis si sbilancia (se nel 2008 un dipendente privato è andato in pensione con un emolumento pari al 68,7% dell’ultima retribuzione, suo figlio nel 2040 prenderà solo il 52,4% dell’ultimo stipendio). «Nonostante il buon livello di protezione sociale», ha spiegato Giuseppe Roma del Censis, «permangono disparità territoriali e categoriali che rendono difficile mantenere la copertura per le nuove generazioni». Sarà insomma estremamente difficile mantenere l’attuale Welfare italiano (che in una graduatoria mondiale il Censis colloca su una posizione abbastanza alta: dopo, è chiaro, Danimarca, Svezia, Francia e Germania, ma prima di Gran Bretagna e Usa). Le ragioni? Parecchie: longevità e aumento della parte non attiva della popolazione, incremento della non autosufficienza (nel 2040 avremo circa 6,7 milioni di disabili), innalzamento complessivo della vulnerabilità delle famiglie (chiamate a farsi carico di maggiori spese per i servizi sanitari, più di quanto non accada oggi: la media per nucleo è di circa 957 euro annui, che salgono a 1400 se c’è il dentista). Infine, appunto, la bassa tutela dei giovani lavoratori e i cambiamenti nel calcolo della pensione, fenomeno del quale gli italiani sono assai poco consapevoli: non sanno quanto prenderanno di pensione, non conoscono gli strumenti integrativi attualmente disponibili.
Superare il «presentismo»
Per superare quello che Giuseppe De Rita, presidente del Censis, definisce «perdita della cultura sistemica e appiattimento sul presente», «occorre elaborare una visione del Paese e del suo sviluppo economico e sociale, superando la distinzione fra pubblico e privato, costruendo convergenze e rafforzando la consapevolezza dei cittadini», ha aggiunto il presidente del gruppo Unipol, Pierluigi Stefanini. A riflettere e avanzare proposte ci hanno pensato i partecipanti alle due tavole rotonde svoltesi dopo la presentazione della ricerca (che nell’ultima parte suggerisce, fra l’altro, il ricorso alla previdenza privata integrativa, una maggior razionalizzazione della spesa sanitaria, pubblica e privata, la riforma degli ammortizzatori sociali e l’incremento delle politiche attive del lavoro).
Un Welfare (sussidiario) su cui investire
«Ripartiamo da una nuove definizione di Welfare come scambio», ha proposto Mauro Magatti, preside di Sociologia alla Cattolica milanese, «e dunque da un differente rapporto fra individuo e gruppo, puntando a uno spirito di alleanza, all’innovazione del sistema socio-sanitario come luogo di sviluppo e dallo strumento della sussidiarietà, utile per produrre socialità, ristrutturare la domanda e lanciare nuove sfide al Terzo settore di domani». Un punto – le risorse per il Welfare sono investimento e non spreco – sul quale hanno insistito diversi interventi: da quello dell’economista Roger Abravanel (per il quale occorre anche ripartire dal lavoro, «lavorare di più e più a lungo», e dal rafforzamento delle piccole e medie imprese) a quello di Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà (qui rappresentava l’Alleanza Cooperativa Italiana) che ha richiamato alcune opzioni presentate sull’ultimo Vita (le trovate a pagina 6 del numero 25): più equità fiscale, ritorno a una dimensione collettiva, nuova allocazione delle risorse, tagli al costo della politica, razionalizzazione della spesa specialmente socio-sanitaria.
Il tempo stringe
Non c’è molto tempo per ripensare e riorganizzare il Welfare. Tanto più che dovrà essere un’operazione contestuale ad altre. Oltre la manovra in discussione (sulla quale il ministro Maurizio Sacconi, pure intervenuto, ha preferito non soffermarsi, annunciando però che «siamo entrati nell’epoca del dopo-debito»), saranno necessarie misure per il futuro. Che, hanno convenuto i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, dovranno essere prese in tempi rapidi. «Nei prossimi venti anni oltre a non far crescere la spesa, lo Stato dovrà ridurre il debito almeno della metà. Circa 900 miliardi», è il ragionamento di Raffaele Bonanni, «per reperire i quali occorreranno iniziative straordinarie e coerenti. Sul fronte della spesa, tagli per la politica, accorpamento dei comuni e dei loro servizi, eliminazione delle province. Sul fronte dello sviluppo invece occorrerà usare la leva fiscale a favore delle famiglie». Infine per la leader della Cgil, Susanna Camusso, per il futuro oltre alla riduzione della disuguaglianza, occorre «ridurre le forme di precarietà, introdurre ammortizzatori per dare continuità al reddito e riorganizzare il welfare territoriale, precisando fin dove arriva il pubblico e dove interviene il privato».
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.