Cultura

La pazienza è curiosa

di Maria Laura Conte

Si respira in questo inizio d’anno come fosse un rimedio per sopravvivere a giorni duri per la separazione imposta, la smaterializzazione di passioni e incontri faccia a faccia trasferiti online: è nell’aria l’invito alla resistenza. Anzi più precisamente, alla pazienza.

Ci vuole pazienza: per il proprio turno del vaccino, per vedere l’uscita da un inverno che dura da un anno, per misurare l’impatto reale di questa crisi sulla nostra specie e il nostro ambiente. Pochi esempi che ci lasciano intuire quanto questa virtù sia multitasking, composta di tante dimensioni, tra cui l’attesa e la distanza, quindi il tempo e lo spazio che stanno tra noi e ciò che desideriamo, ciò a cui puntiamo.

Dalla sua origine latina patientia eredita tre significati. Il primo è perseveranza-resistenza come al vento contro, alla fame e al freddo, oppure come energia morale dell’eroe (patientia animi).

Il secondo è indulgenza-moderazione: affiora alla memoria quel passo dell’orazione di Cicerone contro il nemico di Roma, finita in cento versioni per liceali: “Fino a quando, o Catilina, abuserai della nostra magnanimità (patientia)?”.

Infine il terzo significato richiama l’ossequio, l’obbedienza e sembra volgere verso la debolezza, la sottomissione (servilis patientia).

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Ma c’è dell’altro: il verbo gemello di patientia è patior, sopportare, come per esempio resistere da forti ai dolori (pati dolores toleranter), un proposito del versatile Cicerone, o resistere al tempo cioè conservarsi, come scrive Sallustio, illudendosi come molti di noi che sia possibile.

Passando da Roma ad Atene, poi, tra radici prossime, si arriva al greco paskein, provare una sensazione che può essere buona o cattiva, perciò può significare sentire ma anche soffrire. È la stessa sorgente di sim-patico e anti-patico e tutta la famiglia di sostantivi e aggettivi che hanno come patrimonio genetico la percezione di dolore o gioia, sofferenza o piacere, prossimità e distanza, sensazioni che si avvertono anima e corpo.

Solo che questa pazienza-2021 ha un plus: non è passiva, non può essere distesa, perché chiede partecipazione. Ha bisogno di essere coltivata da una consapevolezza nuova di sé e delle relazioni essenziali, chiede cura proprio mentre si lascia che “le cose” intorno abbiano la loro evoluzione, almeno per quella quota che non dipende né è decisa da noi, ma viene dal loro interno.

Bisogna avere pazienza
verso le irresolutezze del cuore
e cercare di amare le domande stesse

R. M. Rilke

Lo scriveva oltre un secolo fa Rilke con versi che attraversano 120 anni e arrivano alla nostra lettura freschi come una notizia dell’ultimo minuto: tutto è un maturare, come un albero che sta saldo nelle tempeste di primavera e non teme mai che l’estate possa non arrivare. Perché l’estate – la fine delle intemperie – arriva, sì. Osa arrivare per chi è, appunto, paziente.

C’è una condizione però: pazienta così chi non si lascia dettare da scadenze, ma gode del dettaglio di ogni istante perché ha come orizzonte l’eternità. Al punto che arriva pure ad amare gli interrogativi che la realtà propone come fossero libri scritti in una lingua sconosciuta: si intuisce che contengono dei preziosi, perciò sono puro fascino.

La pazienza qui sfiora la curiosità, entra nella sua sfera (infatti curiositas viene da cura, sollecitudine): se non si fuggono né si silenziano le domande più urgenti e scomode, se semplicemente si vivono, piano piano (è ancora Rilke) si finisce con il vivere dentro alle risposte. Quasi senza accorgersene.

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