È vero che la guerra è un dramma universale che rischia di sconvolgere l’equilibrio mondiale. È altrettanto vero che la pandemia ha dettato l’agenda dei Governi mondiali negli ultimi due anni. Ed è ancora vero che ci troviamo di fronte ad una crisi climatica senza precedenti e senza possibilità di appello.
Ma il rischio più grande che ognuno di noi sta subendo è quello di perdere la coscienza, il contatto con la realtà e una visione “genitoriale” verso se stesso e verso gli altri.La realtà “schermata” da giornali, social, tolk show, diavolerie tecnologiche, ha posto in un angolino buio l’essere umano e da quell’angolino buio si vede una realtà virtuale che non corrisponde affatto con quella reale.
Nella “realtà reale” ciò che si vede è un progressivo degradare della coscienza umana, verso pensieri e comportamenti che distruggono l’essere sociale e fanno crescere l’essere belligerante. Siamo entrati prepotentemente nell’età dell’odio, in uno schema che cerca sempre la contrapposizione e se non la trova, la istiga.Gli adulti di oggi sono sempre meno educatori e sempre più “professionisti”…se non hanno la laurea, se la inventano e diventano esperti di ogni cosa, non raramente anche di cose opposte fra loro.
Chi fa le spese di tutto ciò, sono le membra più fragili della comunità degli uomini…persone anziane, disabili, bambini, immigrati,…il paradosso per loro è che nel tempo sono aumentati i servizi, le prestazioni, ma sono diminuiti i diritti e, soprattutto, il benessere legato ad una Comunità accogliente ed educante.
Il Welfare non è stato più pensato per la realizzazione del benessere per tutti, bensì come un cumulo di prestazioni, di valutazioni, di superfetazioni, di cristallizzazioni, di emarginazioni.
Questo Welfare è stato ed è “patologico”, perché investe enormi risorse ma aumenta le diseguaglianze.
Ciò avviene per due grandi ordini di motivi, fra loro connessi: la formazione degli operatori è impostata sulla prestazione ed esclude la relazione; la prestazione degli operatori drena gran parte delle risorse pubbliche e private, lasciando le briciole ai veri destinatari delle politiche di welfare.
Capita così che il welfare sia diventato – nel pubblico come nel privato – uno dei più grandi bacini occupazionali a livello europeo e mondiale e che a fronte di cotanto investimento povertà ed emarginazione siano schizzate in alto in maniera incredibile.
Alcuni elementi di equilibrio sociale che reggevano in passato, sono ormai definitivamente saltati, non ci sono più famiglie e comunità educanti e solidali ed al loro posto ci sono i professionisti del welfare. Quando si intravede (se si intravede) un problema sociale, si pensa subito a come organizzare servizi per contrastarlo…con il risultato che permangono i servizi ed anche il problema.
Ciò che è veramente grave, è che in questo sistema non c’è nessuno che la pensi in modo diverso, il consenso è universale e ciò avviene perché chi ha voce sono i professionisti, le istituzioni, la filantropia, mentre chi non ha voce…non ha voce.
Un esempio lampante è quello dell’emergenza educativa, un’emergenza che nasce dentro i luoghi di cura per eccellenza (le famiglie) e che si propaga nei luoghi di evasione per eccellenza (le strade), con una escalation che non conosce freni né limiti ed a cui si risponde dichiarandone l’esistenza affinché vengano potenziati i servizi.
Dunque, ancora servizi dei professionisti, ancora risorse pubbliche e private, per surrogare la latitanza e l’insipienza degli educatori naturali…che, poi, anche i professionisti sono adulti che fanno parte di quest’ultima categoria, per cui il cerchio si chiude senza nessun vantaggio per questi bambini e ragazzi.
Non ci sono mai state tante risorse come in questo tempo di emergenza, sono risorse pubbliche ed anche risorse apportate dalla filantropia istituzionale. Se ne sono accorti in tanti e sono nate lobbies che sono capaci di agganciare queste risorse con una modalità vorace.
Forse è il caso di ripensare l’approccio, perché il rischio concreto è quello di gonfiare un welfare prestazionale patologico e non affrontare e tantomeno risolvere i problemi che affliggono la società.
Ricominciamo a mettere al centro del welfare le persone ed il loro benessere, riprendiamo il filo delle Comunità degli esseri umani e rendiamole protagoniste entusiaste e generative.
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