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La patente a punti della disabilità

di Redazione

E se il governo decidesse la “disabilità a punti”? Come il permesso di soggiorno per gli immigrati? In fondo il principio è il medesimo, favorire la migliore integrazione, o no? E dunque proviamo a immaginare questo fantapunteggio per persone con disabilità.
L’obiettivo è raggiungere la piena inclusione sociale e dunque, paradossalmente, perdere la patente di disabilità, rinunciare a pensione e assegno di accompagnamento, vivere liberi e felici. Per far questo occorrono almeno 30 punti. I primi 5: abitare in una casa senza barriere architettoniche. Da 5 a 10: vivere in una città che prevede mezzi di trasporto pienamente fruibili da tutti, marciapiedi percorribili, uffici e negozi per tutti. Da 10 a 15 punti: poter usufruire di una ottima istruzione scolastica, con l’aiuto, se necessario, di un insegnante di sostegno qualificato e di docenti in grado di valorizzare le capacità individuali. Da 15 a 20 punti: trovare un lavoro adatto alle proprie caratteristiche, attitudini, desideri, ed essere messi in condizione di raggiungere autonomamente il posto di lavoro. Da 20 a 25 punti: godere dei diritti di inclusione previsti dalla Convenzione Onu, che è legge approvata dal Parlamento italiano. Da 25 a 30 punti: realizzare il proprio personale progetto di vita, anche quando una disabilità fisica, sensoriale, o intellettiva costituisce una condizione reale ma non pregiudica l’inclusione sociale.
Punti extra: almeno 5 se si riesce a costruire una propria famiglia, un affetto, una relazione stabile, magari anche dei figli. Insomma, se si riesce a vivere come tutti. Che cosa dite? Che in questo modo nessuno riuscirà mai a conquistare i 30 punti per il superamento della patente di disabilità? Può darsi, anzi credo che sia abbastanza vero. Eppure, se ci pensate un attimo, sono solo gli obiettivi che ci poniamo tutti i giorni. Un po’ di utopia, ogni tanto, non fa male.

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