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La parola: Santo

Anche per i non credenti il santo rappresenta l’altrove, dovunque esso sia. Niente a che vedere con la santità modello amministratore delegato

di Alter Ego

Ci sono almeno due interpretazioni della politica dei santi. Una è quella della ?gestione del santo?, che ritiene cioè che la santità sia un po? come una delega di un amministratore delegato o una poltrona in un consiglio di amministrazione. L?assemblea degli azionisti allora, o il consiglio dei soci, o, come in questo caso, i loro delegati si riuniscono e a seconda dell?agenda, cioè delle priorità sul tavolo, decidono chi e quando fare santo. Come dire questo piuttosto che quello, ora meglio di dopo. In questa lettura, il santo, al di là dei suoi meriti, è il segno di un accordo quindi è funzionale a un progetto. Se non fosse che la santità non può essere revocata, santo sarebbe un titolo come un altro: preside, commissario, onorevole, segretario. Molti pensano che santo si divenga così, e forse qualche volta è anche successo. C?è però un altro modo per diventare santo: è il modo che vediamo in queste ore consumarsi attorno alla salma di Giovanni Paolo II.
Santo, in questa prospettiva, non è chi sia stato dichiarato tale col processo di canonizzazione, né facile né veloce; santo, al contrario, è chi rappresenta con la sua vita e le sue azioni, ma soprattutto con il suo esempio, con le sue parole e i suoi silenzi, un punto di riferimento obbligato, una prospettiva, una certezza che il corpo scomparso non può più restituire. Santo è la certezza della presenza e questo non solo per i credenti, ma anche per chi non crede. Si può dire: santo è una finestra sull?altrove.
Qualunque cosa sia l?altrove.

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