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La parola/ Juventus

Potente in campo e fuori, per i ben pensanti il bianconero rappresenta il male assoluto. E invece è il colore del sogno: scudetto o posto di lavoro

di Alter Ego

A vederla così, dal basso verso l?alto, la Juventus appare come una matrona nobile, ricca, vorace, potente e cattiva: insomma una macchina da guerra, in campo e nei salotti buoni. Genoa, Roma, Fiorentina, Inter ma soprattutto Torino, sostengono i ben pensanti, quelle sì sono squadre con un?anima, pronte a lottare con il cuore in mano contro tutto e contro tutti. Ma soprattutto contro le congiure di Palazzo orchestrate, ovvio, dalla Juventus. Piccoli Davide contro il gigante Golia. Il bene contro il male.

E invece la Juventus è tutt?altro. Per apprezzarla bisogna guardarla da pari a pari e partire dalla radice del nome come questa rubrica ha il compito di fare. Da quel nome latino Juventus, Gioventù, in grado più di ogni altro di guardare al futuro e di mantenere le promesse. Fossero queste un tricolore o un posto di lavoro, che negli anni del boom economico aveva messo sulla strada della glaciale Torino migliaia di immigrati siciliani, calabresi o veneti come l?amato Del Piero, il più grande goleador di tutti i tempi in maglia zebrata. Tutti immigrati, ospiti malvisti, con in una mano la valigia di cartone e nell?altra la sciarpa della Juventus. E sì, perché a Torino, storicamente, la borghesia con la puzza sotto il naso è granata, il popolino della fabbrica bianconero. Lo stesso nobile popolo che la notte dell?Heysel ha reagito come difficilmente altre tifoserie avrebbero fatto dopo quella tragedia e che sulle colline del Panier, il quartiere degli immigrati maghrebini di Marsiglia, ha dato i natali al genio juventino di Zinedine. Zidane.

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