Politica
La parola agli operai
Oggi si vota a Pomigliano per ratificare l'intesa non sottoscritta dalla Fiom-Cgil
Il responso uscirà stasera dalle otto urne aperte dalle 8 alle 21 allo stabilimento di Pomigliano e Nola ed è destinato a far discutere. Non che ci siano molti dubbi sulla scelta dei circa 5mila lavoratori: è estremamente probabile, se non scontato che il referendum accoglierà l’accordo sottoscritto il 15 giugno da Fim, Uilm, Fismic e Ugl e al quale manca la firma della Fiom Cgil.
Favorevole o contrario?
Si voterà reparto per reparto e, in ogni turno di lavoro, si svolgeranno due ore di assemblea per consentire ai lavoratori di recarsi alle urne. I lavoratori potranno accedere al voto presentando un documento d’identità o il badge aziendale. Al seggio troveranno uno scrutatore nominato dalla Commissione elettorale più altri rappresentanti (uno per organizzazione sindacale firmataria). Hanno chiesto di presenziare alle operazioni di voto anche i Cobas, che pure non hanno siglato l’intesa. Al lavoratore verrà consegnata una scheda simile a quella dei referendum abrogativi: sotto la domanda «sei favorevole all’accordo siglato in data 15/6?». A ciascuno la scelta di barrare il sì oppure il no. Lo spoglio inizierà dopo la chiusura delle urne. Le prime proiezioni si attendono alle 22.30 circa, mentre per le prime ore di mercoledì 23 si dovrebbero avere i risultati definitivi.
Le attese della Fiat
Sergio Marchionne dal voto si aspetta molto. L’ha detto in diverse interviste: senza un sì convinto, non potrà esserci un rilancio produttivo dello stabilimento di Pomigliano (e oltre al piano B – la delocalizzazione – starebbe preparandone un C, ovvero il colpo di scena di schiudere Pomigliano per poi riaprirlo). Marchionne vorrebbe un plebiscito. Non per stravincere, ma per affermare (una volta per tutte?) una sorta di principio del sacrificio condiviso. Una briciola di tutela in meno – sostiene l’ad – in cambio di chili di lavoro per tutti (non solo per i dipendenti Fiat, ma anche per i circa 15mila addetti dell’indotto). Un ragionamento che in tempi di crisi ha, forse giustamente, molta presa, anche sugli operai. Dello stesso avviso il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Anche oggi ha ricordato che l’intesa su Pomigliano costituisce «uno straordinario punto di riferimento per le relazioni industriali, non tanto per i contenuti quanto per il metodo». Si capisce perché sul voto di domani (che per gli operai di Pomigliano è una normale giornata di lavoro, retribuita: un’eventuale assenza dovrà essere giustificata), siano accesi i riflettori di tutto il paese.
Un sì scontato
È scontato che il “sì” passerà. Lo dicono (o ammettono, obtorto collo) tutti e da giorni. E tuttavia in queste ore si susseguono le dichiarazioni politiche e delle parti sociali. Chissà, forse per mettere le mani avanti. Per prepararsi al momento solenne in cui si potrà sottolineare: «l’avevo detto». Così da una parte l’Italia dei valori supera a sinistra il Pd (candidandosi a guidare gli scontenti di domani). L’Udc Pierferdinando Casini esorta Bersani a uscire dall’ambiguità e ad appoggiare l’accordo (prenotando uno strapuntino sul carro del buon senso). A entrambi risponde il Partito democratico, con una dichiarazione non del segretario ma del responsabile economico, Stefano Fassina: «sul referendum siamo per il sì e l’abbiamo sempre detto. Il documento proposto dalla Fiat ha dei punti da rivedere, ma a tutti è chiaro che l’investimento sullo stabilimento di Pomigliano riveste un valore strategico a cui non è possibile rinunciare».
Sul fronte sindacale la Cisl con Raffaele Bonanni, che questa intesa ha caldeggiato dall’inizio, invita i colleghi della Fiom a cambiare idea. Mentre Enzo Mattina della Uil sottolinea che «nessuno vuole mettere in discussione i diritti dei lavoratori, si chiede soltanto qualche sacrificio». La Fiom va comunque allo scontro. Meglio conservare, almeno in teoria, un diritto e non avere la forza per sostenerlo, sembra ragionare, che cedere sui principi (anche a costo di perdere 5mila posti di lavoro).
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