Famiglia
La pace pura di Francesco
I Fioretti narrano di un gruppo di vagabondi che vive di elemosine senza proprietà,né denaro.La narrazione alterna realismo violento al tono da favola.Luc Boltanski
di Redazione
I Fioretti di San Francesco sono un?opera anonima, raccolta di aneddoti scritti in dialetto toscano, della seconda metà del quattordicesimo secolo, risultato di un lungo processo di selezione, traduzione e compilazione. Mutuati dagli Actus beati Francisci et sociorum eius, i Fioretti s?iscrivono nel conflitto che contrappone, dopo la morte del santo, la comunità, preoccupata della disciplina, agli spiritualisti che, basandosi sui pochi scritti di San Francesco e soprattutto sul suo ?Testamento?, spingono alle estreme conseguenze i precetti francescani di carità e di povertà e criticano le trasformazioni che affliggono il loro ordine (valorizzazione del sapere, occupazioni di posizioni d?autorità nella Chiesa, possesso di fatto di possedimenti e di beni ecc.). I Fioretti, che esprimono il punto di vista degli spiritualisti, costituiscono dunque, come sottolinea I. Gobry nella sua introduzione, ?un?opera a tesi?, scritta da «uomini di parte, per difendere una dottrina». Il gruppo di vagabondi, dei quali i Fioretti narrano le vicende, che vive di elemosine, senza proprietà, né denaro, né impiego stabile, che opera in mezzo ai lebbrosi, agli animali, ai poveri e ai grandi, è guidato unicamente dall?amore fraterno e la fantasia, a volte estrema, che impregna questi racconti – e che, da un lato, ne costituisce l?attrattiva – attiene proprio alla decisione di trattare in modo contingente tutte le esigenze che non fossero quelle dell?amore. La parzialità di questo florilegio, il suo obiettivo di costruzione e il suo sistematico optare in favore dell?amore, ne fanno una fonte preziosa per estrinsecare i tratti più durevolmente attribuiti alla descrizione dell?agape.
Ignorare i desideri
Francesco è sempre in stato di agape, i suoi compagni lo sono spesso e, con una costanza minore, lo è un rilevante numero dei tanti personaggi che essi avvicinano nel corso delle loro peregrinazioni. Ignorando i propri desideri, i frati si dedicano ai bisogni delle persone che incontrano, sono preoccupati di soddisfarli e, per questo, sono sempre pronti a dare. Questa disposizione permanente non è mai presentata nella sua generalità. Essa si applica sempre ad esseri singolari (di solito uomini, ma a volte anche animali), incontrati in momenti particolari, riportati minuziosamente dall?aneddoto, alla ventura, secondo le circostanze della vita raminga di questi ?cenciosi vagabondi?, come li chiama Gobry, laddove la necessità della situazione di compresenza è resa saliente proprio dalla grande diversità delle persone che incrociano il loro cammino (poveri, nobili, paesani, ladri, re ecc.), che non è componibile in una serie. La disponibilità al dono non dipende dal valore e dai meriti di chi incontrano: è accordata al gentiluomo generoso, che sfama Francesco e che gli lava i piedi, ma anche, ad esempio, al malfattore, colto sul fatto, a cui «si stavano per cavare gli occhi» e al quale il giovane di San Severino tenta di mitigare la pena, recandosi «arditamente dal rettore in pieno Consiglio» per chiedergli «che fossero cavati un occhio a lui e uno al malfattore, affinché quest?ultimo non restasse privo di entrambi». (…)
L?incontro con il lebbroso scatenato
Di fronte al desiderio che rivendica o, in altro modo, di fronte alla violenza spesso trattata come conseguenza di un desiderio impossibile da soddisfare, i frati agiscono non offrendo resistenza né appiglio alle richieste. Uno dei tratti distintivi della loro condotta è la totale passività di fronte ai desideri, spesso esorbitanti, delle persone esterne alla loro comunità con le quali entrano in contatto. I frati soddisfano le richieste, e donano, secondo i propri mezzi.
Un lebbroso scatenato, per sua disgrazia, fiacca la pazienza dei frati. Francesco si occupa di lui. «Figlio mio, voglio servirti io stesso poiché non sei contento degli altri». «Volentieri», dice il malato, «ma cosa potrai farmi in più degli altri?». San Francesco risponde: «Farò ciò che tu vorrai». Il lebbroso dice: «Voglio che mi lavi tutto, giacché puzzo così tanto che non riesco a sopportarmi». «Allora San Francesco, fatta immediatamente scaldare dell?acqua con molte erbe odorose, lo sveste e inizia a lavarlo con le proprie mani, mentre un altro frate versava l?acqua».
La passività del dono spegne il desiderio e le persone oscillano a loro volta nell?amore. Così è per i ladroni omicidi, a cui Francesco fa portare «la bisaccia di pane» e il «vasetto di vino», che ha appena mendicato, o per il lupo di Gubbio. Francesco porta loro la pace riconoscendo il loro desiderio: riconosce la fame del lupo che, «amorevolmente nutrito dagli abitanti», rientrò nella pace «e morì di vecchiaia, cosa che addolorò parecchio gli abitanti».
Ugualmente, alla violenza risponde la passività; in questo caso, però, ad operare la pazienza che non riconosce la violenza in quanto tale. Frate Bernardo «andatosene, giunse a Bologna. E i bambini, vedendone lo strano e miserabile abbigliamento, lo coprivano di insulti, come si fa con un pazzo; e frate Bernardo sopportava tutto ciò con pazienza e allegrezza (?). Essendosi dunque seduto, molti bambini e uomini gli si radunarono attorno, e chi gli tirava il cappuccio all?indietro e chi in avanti, chi gli tirava polvere e chi pietre, e frate Bernardo, sempre alla stessa maniera e con la stessa pazienza, raggiante in volto, non si lamentava, né s?inquietava».
La costanza nello stato d?amore implica infatti la non-risposta. La relazione non è interattiva, perché mentre uno agisce l?altro non agisce. Allo stesso modo, spesso i dialoghi non comunicano, come il lungo dialogo tra Francesco, che rivendica l?infamia, e Leone, che non sa sottrarsi alla lode, e questo perché l?amore non tiene discorsi su se stesso, come quando «San Luigi, re di Francia, si recò di persona, in abiti da pellegrino, a Perugia» a fare visita a frate Egidio. «Essi si gettarono l?uno nelle braccia dell?altro, si abbracciarono con la stessa familiarità come se avessero da molto intrattenuto una stessa amicizia; per tutto questo tempo nessuno dei due parlava, stavano abbracciati così, in silenzio (?). E dopo essere stati in questa stretta per un lungo lasso di tempo, senza proferire parola, si lasciarono: San Luigi continuò il suo viaggio, mentre frate Egidio ritornò alla sua cella». Ed Egidio, alle domande dei suoi frati, risponde: «Se avessimo voluto esprimere a parole ciò che sentivamo nel cuore, ci sarebbe stata più afflizione che consolazione, a causa dell?imperfezione del linguaggio umano».
(per gentile concessione di Vita e Pensiero)
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