Non profit

La pace non piace ai terroristi

L'intervento di un fedele copto italiano

di Martino Pillitteri

di John Shehata*

Dal giorno dell’attentato a oggi, sia il popolo egiziano che la Comunità Internazionale continuano ad interrogarsi sulle più profonde ragioni che stanno alla radice di un simile, deprecabile, gesto. Forse – e senza la pretesa di voler ritenere le varie ipotesi più o meno fondate – rimane utile ed interessante cercare di sintetizzare i vari punti di vista espressi da autorevoli parti sulla questione.

La posizione ufficiale del Governo Egiziano, manifestata dal Presidente Mubarak in un messaggio diffuso dalla televisione a poca distanza dall’accaduto, imputa l’attentato a una non meglio identificata forza straniera, che ha colpito la Chiesa dei Santi di Alessandria con il precipuo fine di destabilizzare l’Egitto e la sua unità tra cristiani e musulmani, con l’intento di portare il paese verso la guerra civile. L’opinione, resa propria anche da molta parte del mondo politico e della società benpensante, troverebbe il suo fondamento nella posizione di paciere e stabilizzatore che l’Egitto ha assunto in Medio Oriente: posizione, questa, a quanto pare invisa a frange estremiste che, dalla pace di Camp David in poi, si sono sempre dimostrati ostili al cammino di pace e di armonizzazione interna intrapreso dal Governo del Cairo.

Di contro, alcuni esponenti dell’opposizione, contestando tesi di un attacco terroristico etero-diretto, hanno insinuato che il tragico evento sia la conseguenza di una negligenza delle forze dell’ordine egiziane,da attribuirsi al Capo dello Stato e al Ministro della Difesa, di cui è stata chiesta a gran voce la revoca dall’incarico: tant’è che alcuni intellettuali hanno censurato una certa leggerezza da parte del Ministro Al Adli nella gestione della sicurezza dei possibili obiettivi sensibili di un attacco suicida che – a quanto pare – era stato ipotizzato da alcuni siti islamici già nei mesi scorsi e, dunque, ben avrebbe potuto essere evitato.

Qualcuno è arrivato addirittura a sostenere la tesi – a mio avviso non particolarmente fondata – che l’attentato sia stato – se non voluto – quantomeno non impedito dal Governo locale, che, a seguito dell’accaduto avrebbe visto rafforzarsi il peso politico dell’egemone Al’Hizb Al Watani Al Democrati, il partito nazionale democratico cui appartengono sia Mubarak che il suo più probabile successore, il figlio Gamal: e ciò, a maggior ragione in considerazione del fatto che gli oppositori dello stesso, i Fratelli Musulmani ed il Wafd, avevano già deciso di ritirarsi dal secondo turno delle votazioni legislative agli inizi dello scorso dicembre in segno di protesta contro le asserite frodi elettorali. In sostanza, la guerriglia civile che potrebbe scaturire dai recenti eventi omicidi servirebbe solo a concentrare l’attenzione dell’elettorato sui temi del terrorismo, distraendolo dal problema della successione alla guida del Paese.

Tutte le tesi e le ipotesi emerse nel corso delle poche ore trascorse dal triste evento meritano una qualche attenzione, e sicuramente ogni opportuno approfondimento. L’unico leitmotiv ad oggi evidente, almeno a chi scrive, è che l’Egitto sia terreno fertile per gli scontri tra Cristiani e Musulmani, e che la pace – scomoda – tra le religioni (che ha permesso al Paese di mantenere un trend positivo di crescita nonostante la crisi economica globale) non piaccia al terrorismo di matrice islamica, sia interno o esterno al Paese. Da egiziano, ed ancor più da cristiano ortodosso, non posso che essere tanto amareggiato per l’accaduto, quanto preoccupato per le conseguenze che ciò avrà sulla minoranza copta. Se è vero che di oltranzismo religioso si tratta, è anche vero che, nonostante gli sforzi del Governo, i conflitti tra cristiani e musulmani nelle terre del Nilo, oggi forse ancor più che nel passato, sono estremamente violenti: non sempre e non solo a causa degli esponenti del mondo islamico.

L’unica via d’uscita dalla crisi dei rapporti interreligiosi e l’unico modo per evitare al fondamentalismo islamico di mietere altre vittime, non sta nel cercare di governare il terrorismo manu militari, ma sta nell’educare i giovani ad un Umanesimo musulmano – come è stato definito da alcuni intellettuali di spicco – e nel creare delle think tank, dove anche la minoranza Copta partecipi spoglia da rancori e pregiudizi: così da realizzare, almeno in nuce, uno stato più laico, il cui centro sia l’Uomo, capace di permettere ad ogni individuo di avere quella capacità critica che gli consenta di essere impermeabile a dottrine e politiche, spesso paramilitari, che con la fede religiosa – e strettamente personale – di ciascuno di noi non hanno evidentemente nulla a che vedere.

 

* Jonh Shehata, Italo-egiziano, nato nel 1981 a Venezia, esercita presso il proprio studio legale, occupandosi di diritto civile e commerciale e curando principalmente i rapporti tra Imprenditori italiani e società aventi sede nel Nord Africa e nei Paesi del Golfo. Assiste il Consolato Generale della Repubblica Araba d’Egitto quale consulente legale. Opera ad Alessandria d’Egitto ed al Cairo in Associazione con lo studio legale della Prof.ssa Hanaa Abd El Salam Ragab, consulente della Camera di Commercio Italiana per l’Egitto.

 

 

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.