Non profit

La pace alla porta accanto

L'editoriale di Giuseppe Frangi sul fenomeno del pacifismo.

di Giuseppe Frangi

“Macchie di luce sulle case grigie”. Scriveva così, poco più di un mese fa, su queste colonne, Marco Revelli per raccontare l?Italia imbandierata di arcobaleno. Giusta notazione, oltre che poetica. Revelli sottolineava come un fenomeno che in altri tempi sarebbe stato etichettato come schieramento ideologico o politico, aveva assunto i connotati spontanei di un fenomeno di massa. Giustamente Revelli sottolineava quel particolare delle case. Si trattava di cittadini che esponevano alla finestra un sentimento, misto di inquietudine e di speranza, covato nel privato. Ma erano cittadini, gente qualunque. Persone che forse in vita loro non avevano mai reso pubblici, in questa maniera, una loro idea, un loro auspicio. Tra loro, tanta gente normale non conquistata a una causa, quanto conquistata da un modo diverso di pensare i propri stili di vita. E questo in linea con quanto ricerche, sondaggi, inchieste, anche di mercato, stanno proclamando da qualche mese a questa parte. Ora la stagione delle guerre non è finita. Ma quelle delle belle bandiere, sì. Qualcuno ha iniziato a tirarle via dalle finestre, qualcun altro chiama anche in redazione a Vita chiedendo un consiglio, un?indicazione. E quella domanda, in realtà ne nasconde un?altra: come continuare quel cammino iniziato, come far sì che la pace non sparisca dal palinsesto delle giornate. Come continuare quella rete di rapporti nata all?ombra di una bandiera che, come aveva sottolineato Revelli, contiene in sé tutti i colori? Qui sta il punto per noi cruciale. L?arcobaleno aveva per una volta saldato la voglia di giustizia con l?istinto di moderazione che contraddistingue la maggioranza delle persone. Aveva fatto uscire dall?angolo dell?estremismo e dell?utopia un?istanza di pace una volta affidata ai profeti, buoni o cattivi che fossero. Aveva aperto tante porte, nel senso proprio e concreto del termine. Porte che si affacciano su pianerottoli che mai prima d?ora avevano accolto dialogo o condivisione. Una delle caratteristiche di quella condivisione era la nonviolenza. L?altra ci sembra di poter dire fosse la pazienza. Perché se la guerra è la soluzione più logica dell?uomo impaziente, la pace è il contrario. Non vive di pretese, ma di persuasione. Proprio come è accaduto nei mesi che preparavano la guerra, quando le ragioni contro l?intervento sono parse così chiare e così convincenti da conquistare la coscienza di una maggioranza. Per quanto alla fine, nei fatti, abbia vinto la guerra, la pace non ha affatto perso. O meno, non ha perso se chi ha voluto la guerra non riuscirà nell?intento di estremizzare una parte del movimento della pace. Di trascinarlo su quel terreno dell?impazienza che, come abbiamo detto, è il terreno prediletto di chi predica l?efficacia dei conflitti. Ecco perché la domanda semplice dell?inquilino della porta accanto, la sua richiesta di continuare pacificamente questo cammino, deve essere presa terribilmente sul serio. Scriveva, 15 anni fa, Leonardo Sciascia che una “cultura della pace, quale quella in cui vogliamo avviarci e avviare, non può nutrirsi né di espedienti né di insensatezze”. Parole vere, che ora attendono una conferma, quando il contesto spinge o al riflusso o alle insensatezze. Per questo, per vincere la tentazione di chi ci vuole esasperati, mettiamo sul piatto la domanda dell?inquilino della porta accanto. E continuiamo con lui quel cammino di pace che tende verso un grande orizzonte, ma che sa anche quanto valgono i piccoli passi, le piccole scelte di ogni giorno.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA