Non profit

La ong fa business. Rigorosamente sociale

La lotta alla povertà passa (anche) attraverso il mercato

di Emanuela Citterio

Investire su un’azienda che produce zanzariere a costi accessibili: anche questa è cooperazione. E richiede un rovesciamento di prospettiveLa nuova frontiera della cooperazione allo sviluppo? Investire in un’azienda che fa social business. «Dignità, non dipendenza. Combiniamo filantropia e business per rompere il ciclo della povertà» è il motto della charity americana Acumen Fund. Il suo investimento più fruttuoso si chiama “A to Z”: un’azienda della Tanzania che produce zanzariere impregnate di insetticida, a costi accessibili anche alle fasce più povere della popolazione. Da progetto pilota con pochi fondi, “A to Z” si è trasformata in pochi anni in un’azienda di successo che impiega settemila persone e produce 20 milioni di pezzi l’anno. Grazie ai costi ridotti e a un impregnante innovativo che dura cinque anni invece dei normali sei mesi, le zanzariere dell’azienda tanzaniana hanno trovato mercato in tutta l’Africa e sono state inserite nei programmi di prevenzione anti malaria.

Un ibrido
Anche in Italia il mondo delle organizzazioni non governative comincia ad essere attento a questo nuovo modo di fare cooperazione internazionale. «Il social business offre soluzioni di mercato a problemi che riguardano la povertà attraverso la fornitura di prodotti e servizi che non sono gratuiti, ma tarati su costi accessibili anche alle fasce più svantaggiate», afferma Elena Casolari, direttrice dell’ong Acra. «Esistono attività profit che danno delle risposte a problemi legati alla povertà come l’accesso all’acqua, ai servizi sanitari di base, al credito o all’impiego, e tutto questo apre una sfida per chi si occupa di cooperazione allo sviluppo». Quest’anno Acra ha partecipato per la prima volta al Sankalp Forum, un meeting annuale che si svolge in India e rappresenta uno dei principali nodi di incontro sul social business al mondo, una piattaforma ibrida in cui convergono i diversi attori dello sviluppo: imprese e investitori sociali, ong, agenzie di sviluppo, università e istituzioni.
«Con un po’ di ambizione, le ong possono giocare un ruolo innovativo», afferma Casolari. «Possono favorire la crescita di questo settore individuando le imprese sociali che danno risposte ai problemi legati alla povertà. E favorirne la crescita con capitale, assistenza tecnica oppure facendo da link con chi ha a disposizione capitali e vuole investire in soluzioni concrete invece di donare a fondo perduto».

Ricadute positive
Per le ong arrischiarsi su questa strada significa rovesciare la prospettiva. Non si tratta più di creare partnership più o meno vantaggiose con aziende attente al sociale con l’obiettivo di reperire fondi ma, al contrario, di sostenere attività profit che hanno una ricaduta positiva in termini di sviluppo e la lotta alla povertà. «Uno dei problemi principali del social business è la difficoltà di accesso ai capitali da parte di imprese giovani che devono ancora dimostrare di conseguire risultati efficaci che siano replicabili, scalabili e sostenibili», afferma Casolari. «Nel caso dell’azienda tanzaniana che produce zanzariere, è stata proprio la charity americana a far decollare il processo, con un’operazione di venture capital». Per le ong è un salto che richiede coraggio ma che offre l’opportunità di innovare la propria mission. «L’ong diventa essenzialmente un “risk taker”, si assume dei rischi che non possono assumersi le istituzioni ma solo gli enti privati», afferma Casolari. «Credo che le ong dovrebbero essere esattamente questo: realtà che in modo pioneristico esplorano nuove frontiere».

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