Sostenibilità

La nuova vita delle pecore (e della lana) italiane

Lo smaltimento del vello degli ovini da latte e carne, considerata rifiuto speciale, è un problema che affligge tutta Europa. In provincia di Udine, l'università, in collaborazione con la start-up Agrivello e l'Azienda sanitaria, ha dato avvio ad Agrilana, un progetto innovativo che trasforma il vello in un pellet fertilizzante naturale e ricco di azoto. VITA Inchieste alla scoperta degli altri nuovi utilizzi: dal rilancio di una lana "made in Italy", nel Biellese, al progetto di rivitalizzazione di un borgo nel Senese, al vello usato per coltivare nel Bresciano

di Veronica Rossi

Chi di noi non ha un bel maglione di lana morbida, da indossare durante le fredde giornate invernali? La fibra con cui è realizzato, però, probabilmente non viene da pecore italiane; il manto degli ovini nostrani – almeno dei tipi genetici più diffusi – non è adatto, infatti, all’uso tessile industriale. Gli animali, però, vanno tosati, per il loro benessere. E quindi che fine fa tutto il pelo dei circa settebosc milioni di pecore presenti sul territorio nazionale? Il progetto friulano Agrilana, nato da una collaborazione tra l’azienda agricola A. Servadei del dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali dell’Università degli studi di Udine, l’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale e la start up AgriVello e sostenuto dalla Fondazione Friuli, ha trovato una delle possibili risposte a questa domanda: la produzione di pellet fertilizzanti.

Lo tosatura e lo smaltimento della lana, classificata come rifiuto speciale, è un vero problema per gli allevatori europei, che si vedono costretti a pagare anche ingenti somme di denaro, circa 6 euro a capo per anno, per disfarsi degli scarti della tosatura. “Non ci sono acquirenti per questo prodotto”, spiega Chiara Spigarelli, PhD di Uniud e titolare della start up AgriVello, “un po’ per la diffusione sempre più massiccia delle fibre sintetiche, un po’ perché la lana italiana è ruvida e ispida; le nostre pecore sono selezionate per la carne e per il latte”. Un'altra questione determinante è che in tutta la penisola non si carda e non si fila più. Quasi tutti i centri di lavaggio, fase fondamentale per poter utilizzare a scopo tessile il vello degli ovini, sono stati chiusi sul territorio nazionale. “Ce n’è uno a Biella – afferma la giovane – ma per gli allevatori sarebbe davvero scomodo andare sempre fino in Piemonte”. I rifiuti speciali potrebbero trovare la strada degli inceneritori, ma non è un processo conveniente: la lana è ignifuga e servono anche tre cicli per bruciarla completamente. “Dalle difficoltà di smaltimento da parte degli allevatori”, spiega Edi Piasentier, direttore del dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali di Uniud, “possono causare il rischio di una dispersione incontrollata nell'ambiente per interramento, pratica inquinante, o insacchettamento improprio per l'invio in discarica o, peggio, l’abbandono in discariche abusive”.

I ricercatori, però, si sono accorti di una particolarità della lana: la lanolina, sostanza sebacea di cui è ricca, contiene molto azoto ed è un ottimo fertilizzante. Da qui l’idea di realizzare dei pellet a uso agricolo. “Durante le sperimentazioni”, dice Spigarelli, “abbiamo notato che per rinvigorire le piante basta una quantità limitata di questo prodotto, circa corrispondente a un vasetto da yogurt. In più, il rilascio nel terreno è lento, cosicché l’effetto dura a lungo, anche cinque mesi”. I pellet ottenuti dalla lana, inoltre, trattengono l’acqua, permettono di irrigare meno, migliorano la respirazione del terreno e ne prevengono l’acidità.

“Nel 2019”, ricorda Spigarelli, “ho partecipato con la proposta del fertilizzante al campus RestartUp della fondazione Garrone di Genova, al termine del quale ho vinto il primo premio; con il denaro ottenuto sono riuscita a comprare i primi macchinari”. La collaborazione con l’azienda agricola A.Servadei di Uniud ha permesso la realizzazione di un impianto sperimentale, fortemente innovativo in Italia, che potrà rappresentare un collettore per il vello delle pecore degli allevatori del Friuli Venezia Giulia e trasformare un problema in un’opportunità di rilancio economico per le zone marginali della Regione. “Agrilana”, chiosa Piasentier, “costituisce un esempio concreto di organizzazione e riorganizzazione delle poche risorse produttive del territorio delle aree interne, in particolare di quello montano e pedemontano, al quale è prioritariamente rivolto, secondo una visione multi-attoriale e multifunzionale”.

L’impianto, inaugurato il 6 giugno, è una parte di un progetto di filiera, che coinvolge l’intera catena produttiva. “Mi occupo anche della tosatura delle pecore”, racconta Spigarelli. “In Italia, per questa attività ci sono pochissime maestranze: le grandi imprese chiamano addirittura delle persone dalla Nuova Zelanda”. Agrilana, quindi, va a sostegno dei piccoli e medi allevatori, che spesso non solo non sono nelle condizioni di trovare un luogo di smaltimento corretto della lana, ma anche di reperire le professionalità per la tosatura e, a volte, sono costretti addirittura a non tosare gli animali. La proposta di AgriVello e Uniud rappresenta un supporto concreto per le aziende agricole del territorio e un vero e proprio esempio di economia circolare: spesso i proprietari degli ovini chiedono di poter riavere i pellet fertilizzanti prodotti con la loro lana.

Ma non è una sola filiera a beneficiare di un progetto di questo tipo; la ricaduta positiva investe l’intero territorio, anche in termini di attrattività turistica. “il turista esperienziale”, commenta Pasentier, “vuole visitare i produttori, immergersi nella vita dei paesini, dei borghi, fare gli acquisti del prodotto tradizionale e del cibo locale nei piccoli negozi di prossimità, nei mercati dei produttori, che progetti di questo tipo aiutano a tutelare e mantenere”.

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