Non profit
La nuova imprenditorialità sociale
È fondamentale identificare le leve chiave per promuovere un ambito la cui rilevanza è indubbia nel rilancio, anche sul piano competitivo, delle economie nazionali
Nell’ultimo decennio si è registrato un crescente interesse verso il tema della filantropia, testimoniato dal moltiplicarsi a livello internazionale delle iniziative di singoli individui e imprese sia in termini quantitativi, volume di risorse erogate, e qualitativi, efficacia degli interventi. Il moltiplicarsi dell’attività filantropica è un riflesso dei cambiamenti in atto nel sistema socio-economico globale: crisi dei modelli di welfare state, arretramento dell’intervento pubblico, aggravarsi di situazioni di disagio sia nei Paesi sviluppati, per via della crisi economica, sia nei Paesi del terzo mondo, progressiva concentrazione della ricchezza globale.
Si sta diffondendo un approccio più consapevole alla filantropia con una maggiore attenzione verso i risultati e gli impatti sociali e un’integrazione dell’attività filantropica con la vita e l’attività imprenditoriale degli individui in una logica giving while living. Non è facile censire la filantropia perché il fenomeno interessa sia l’attività d’imprese e fondazioni “tradizionali” che fanno filantropia, sia l’attività di fondazioni, individui e fondi esplicitamente dediti alla filantropia che stanno affiancando iniziative di venture philanthropy, o anche “filantropia attiva”, alla filantropia tradizionale.
Possiamo sicuramente dire che la VP è un fenomeno in rapida espansione ma allo stesso tempo ancora marginale rispetto alle dimensioni della filantropia tradizionale. I dati sono frammentati e la conoscenza del tema passa attraverso l’attività di ricerca e promozione di singole organizzazioni, network e associazioni di operatori. A livello globale la filantropia presenta nel suo complesso dei trend di crescita importantissimi, coerentemente con i trend di concentrazione della ricchezza e la crescita del numero degli high net worth individuals a livello mondiale. Lo sviluppo dell’imprenditorialità sociale è strettamente collegato alla disponibilità di strumenti e opportunità di finanziamento specifiche per le imprese sociali.
La realizzazione di un connubio tra finanza e imprenditorialità sociale è un’esigenza quanto mai necessaria e può rappresentare sia un volàno per lo sviluppo del social business sia un’opportunità per le comunità locali che presentano sempre maggiori bisogni sociali con una pubblica amministrazione incapace a soddisfarli, per mancanza di risorse e progettualità. Negli ultimi anni l’interesse verso gli strumenti di “finanza sociale” è cresciuto in maniera esponenziale e in alcuni Paesi europei sono già state avviate esperienze molto interessanti, come per esempio i Social Impact Bonds, un “prodotto” già sperimentato con successo nel Regno Unito assimilabile ai titoli obbligazionari, valido per iniziative nel sociale.
Sono infatti strumenti utilizzati dai soggetti pubblici per raccogliere finanziamenti privati da destinare a progetti di pubblica utilità. Interessante l’esperienza di UBI Banca e della BCC di Cherasco, e altre in Italia. Invero, in Italia l’uso per esempio dei fondi come strumento di finanziamento dell’economia sociale è ancora fortemente limitato, anche a causa dalla normativa. Molte fondazioni stanno iniziando a introdurre logiche di VP nel loro modus operandi ma il fenomeno non è attualmente censito, mentre le uniche esperienze di fondi di investimento sociale sono al momento quella di Oltre Venture (che, nato nel 2007, investe in iniziative di imprenditorialità sociale in Italia), e quella di Impact-Finance (che, nata nel 2010, opera come fondo di debito e che investe in social business alla “base della piramide”). Da segnalare anche la costituzione nel gennaio del 2013 di Opes Impact Fund, primo veicolo italiano di impact investing, che è una modalità di investimento che coniuga obiettivi economici e di impatto sociale ponendosi in una posizione intermedia tra gli investimenti tradizionali che hanno l’obiettivo di massimizzare il ritorno finanziario del capitale investito e la filantropia.
Gli investimenti in imprese per il cambiamento sociale si stanno affermando come una nuova asset class per gli investitori. Il 3° rapporto sull’impact investing di JP Morgan indica una crescita del comparto con investimenti programmati 2013 dell’ordine dei 9 miliardi di dollari contro gli 8 miliardi del 2012 e con performance in linea con i risultati attesi dal punto di vista sociale, ambientale e finanziario (due terzi dei rispondenti dichiara inoltre di avere ritorni finanziari ad indici di mercato). In Italia sta facendo timidamente i suoi primi passi. Sono ancora pochi gli attori specializzati e le risorse mobilitate non superano complessivamente poche decine di milioni di euro. Più della metà di queste risorse è investita nel settore della microfinanza. Poi, alcuni primari istituti bancari hanno promosso iniziative ad hoc per le aziende non profit. Penso all’esperienza di Banca Prossima del gruppo IntesaSanpaolo o al progetto Universo non Profit del gruppo Unicredit. Per cui oggi chi vuole fare social business in Italia può accedere a forme di finanziamento specifiche fornite da questi soggetti e non solo alla filantropia.
Pratica e teoria d’altra parte oggi sono concordi nell’identificare, nella misurazione del valore sociale atteso o creato, la possibilità, per le organizzazioni non profit e le imprese sociali, di conferire credibilità ai propri progetti, fornendo un’indicazione sintetica, in termini monetari, dell’impatto che essi hanno avuto sulle persone, i territori o le comunità che ne hanno beneficiato. È in tal senso che la misurazione aiuta a comunicare la forza di un progetto sociale ai potenziali investitori – siano essi donatori, banche in fase di concessione di crediti o investitori istituzionali in senso stretto, utilizzando un linguaggio familiare: quello monetario.
Ad esempio, fondi di social venture capital quali Robert Enterprise Development Fund o Acumen Fund hanno sviluppato e diffuso modelli di misurazione del valore sociale col fine di migliorare la propria capacità d’impatto, l’immediatezza della propria comunicazione e la propensione dei promotori d’iniziative imprenditoriali sociali alla trasparenza nella valutazione e diffusione dei propri risultati. Oltre che avere una funzione esterna di allineamento delle aspettative su risultati ottenuti o attesi dalla realizzazione di un progetto sociale, se utilizzata in fase di pianificazione, la misurazione può facilitare anche la progettazione di un sistema di monitoraggio e controllo ad hoc, attraverso l’identificazione di aree operative, fattori di criticità, driver di successo.
A consuntivo, un percorso di valutazione degli impatti sociali generati può supportare la definizione di attività correttive, così come motivare le ragioni di un determinato risultato. Tutto ciò è molto importante per chi deve ad esempio rendicontare l’attività – come gli investitori prima descritti naturalmente – e le scelte di destinazione della filantropia di impresa. L’approccio più diffusamente utilizzato per rispondere all’esigenza di valutare gli impatti differenziali generati da progetti imprenditoriali sociali, nonché della capacità degli stessi di perseguire efficacemente la propria missione, è il calcolo del Ritorno Sociale dell’Investimento (Social Return on Investment – SROI). Esso rappresenta il tentativo di quantificare, in termini economici, il valore sociale o ambientale non finanziario generato da un progetto, un’iniziativa, un’impresa sociale, dato un certo investimento di capitale.
La risposta delle organizzazioni sociali in tale ambito è promettente. Lo SROI Network conta 700 organizzazioni non profit a livello globale attivamente coinvolte, in meno di un anno, nel calcolo del proprio ritorno sociale. Il processo che conduce al calcolo dello SROI consta di più fasi successive, basate sulla centralità delle persone – ossia i beneficiari delle iniziative sociali promosse – nell’identificazione delle aree d’impatto, nella raccolta dei dati e nella verifica dei risultati ottenuti. Il percorso prende avvio dall’esplicitazione di una teoria d’impatto sociale che dettagli il contributo differenziale del progetto in un dato ambito o per determinate categorie di soggetti.
Seguono la mappatura dei soggetti che sperimentano il cambiamento quale risultato delle attività implementate, l’identificazione, per ciascuna categoria di soggetti, delle relazioni causali tra risorse apportate e risultati ottenuti, la definizione d’indicatori cui attribuire un valore monetario rappresentativo degli impatti ottenuti (ad esempio, risparmi di costo o incrementi di valore), il calcolo d’indicatori sintetici che rapportino agli investimenti, i benefici sociali realizzati al netto dei costi sostenuti (si fa rinvio a La misurazione degli impatti sociali, Perrini-Vurro, Egea, Milano, 2013).
In conclusione per meglio promuovere lo sviluppo della filantropia in Italia sarebbe necessario: creare una learning culture perché l’innovatività del tema rende necessario condividere, diffondere esperienze e know-how tra finanziatori, operatori sociali, accademici, imprese, ecc.; promuovere e creare reti di finanziatori, dato l’obiettivo di favorire il maggiore impatto possibile delle iniziative sociali; è dotare il sistema di strumenti giuridici innovativi e forme giuridiche ibride per favorire il protagonismo dei filantropi ma in generale della società civile; introdurre norme che favoriscano l’attività filantropica.
da Oxygen numero speciale dedicato ai 10 anni di Enel Cuore di Francesco Perrini Direttore CReSV, Centro Ricerche su Sostenibilità e Valore
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