Non profit

La nuova Europa: che sorpresa! A scuola d’accoglienza dall’Ungheria

Bruxelles deve imparare dai Budapest: investe sulla società civile che, nei 10 nuovi Paesi membri, produce il 3% del Pil.

di Carlotta Jesi

Ci sono due modi per affrontare l?allargamento a Est dell?Unione europea. Innalzare barriere per rallentare l?emigrazione dei cittadini dei 10 nuovi Paesi membri, come hanno fatto i governi dei Quindici. Oppure costruire ponti tra la vecchia e la nuova Europa, come farà Tony Venables.
Il 1° maggio, il fondatore dell?organizzazione non profit Euro Citizen Action Service di Bruxelles, che è diventata un punto di riferimento per tutta la società civile europea, lo passerà al telefono con i 75 milioni di cittadini dei nuovi Stati membri. Per cui ha deciso di costruire una Help Line: «Il modo migliore per combattere un sopruso, è denunciarlo. Chiunque sentirà di essere trattato come un europeo di seconda classe, potrà chiamarci e segnalare le ingiustizie che ha subito».
Ingiustizie che, per Venables, non riguardano solo l?accesso al mercato del lavoro cui i Quindici hanno messo i lucchetti. «I nuovi europei rischiano di venir fermati alle frontiere o di non vedersi riconoscere il titolo di studio. Diritti violati che qualcuno, nell?Europa dell?Est, non sa neanche di avere».
Vita: Per quale motivo?
Tony Venables: Un preciso calcolo politico di Bruxelles. Stupisce che, nonostante l?allargamento sia l?argomento del momento, le istituzioni non investano sull?informazione dei nuovi cittadini. Il tutto per il clima di terrore verso lo straniero che hanno creato i governi.
Vita: Dei nuovi membri, i media raccontano tasso di disoccupazione, di Aids e di Rom. Ma niente della loro società civile.
Venables: Pensare che il Terzo settore dei nuovi membri sia poco sviluppato sarebbe un errore. La John Hopkins University ha contato 50.300 non profit con entrate pari a 26,2 milioni di dollari solo in Polonia.
Vita: Quanto pesa la società civile nell?Europa dell?Est?
Venables: Produce il 3% del Pil contro il 5% del non profit dell?Ovest. Un contributo rilevante che presto sarà messo in pericolo dalla mancanza di fondi. Dal 1° maggio, le istituzioni internazionali e le fondazioni che oggi finanziano le ong dell?Est cominceranno a chiedersi perché discriminare tra una non profit polacca e una italiana visto che sono entrambe europee. L?impressione generale è che d?ora in avanti al Terzo settore dell?Est penserà Bruxelles. Ma l?unica certezza è questa: il Parlamento ha creato un Fondo speciale per le organizzazioni impegnate nel campo dei diritti umani e dell?advocay.
Vita: Quale sarebbe il modo migliore di sostenere la società civile dell?Est?
Venables: La proposta più innovativa e interessante, in questo momento, viene da uno dei 10 nuovi Paesi membri, l?Ungheria. A gennaio, il Parlamento ha votato l?istituzione del Nation Civil Fund: un fondo che intende sostenere le realtà del non profit – circa 50mila tra ong, fondazioni e associazioni – coprendo una parte dei loro costi amministrativi. Per quest?anno ha un budget di 28 milioni di euro cui lo Stato e i cittadini contribuiscono in ugual misura grazie a una legge, nota come ?1% law?, che dal 1998 consente agli ungheresi di devolvere l?1% delle loro entrare alle non profit registrate. Ma anche tra la società civile del Vecchio continente le idee non mancano.
Vita: Per esempio?
Venables: Il progetto Cooperate che abbiamo lanciato un mese fa in Italia con la municipalità di Bologna e con la Compagnia San Paolo di Torino. Prevede che rappresentanti della società civile e delle amministrazioni pubbliche dei 10 nuovi Stati vadano in Italia, a gruppi di 20 o 30 alla volta, per imparare ad avere accesso ai fondi strutturali e per appropriarsi delle capacità organizzative che hanno fatto crescere il Terzo settore italiano.
Vita: E l?Unione europea cosa potrebbe fare per garantire i diritti dei suoi nuovi cittadini?
Venables: Credo sia necessario nominare un Commissario responsabile dei diritti dei cittadini. Oggi ci sono degli obdusman che si occupano di questo tema, e funzionano bene. Ma devono avere un riferimento all?interno della Commissione. Attualmente, c?è un direttorato che si occupa di diritti politici e del controllo delle frontiere, un altro dei diritti sociali e ancora un terzo responsabile del riconoscimento dei titoli di studio e della formazione. Non dico che tutti vadano accorpati, ma devono essere coordinati.

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