Mondo
La nuova casa della Fiat è una città in bancarotta
Come sopravvivere dopo un crac da 18 miliardi di dollari. La fuga di un milione di abitanti. Fabbriche in rovina e case abbandonate. Anteprima dal sorpendente reportage che potete leggere in versione integrale sul numero del magazine in edicola
di Rose Hackman
Come si vive in una città fallita dove per strada il 40 per cento dei lampioni non funziona, dove la polizia di mette 58 minuti per rispondere a una chiamata di emergenza in caso di sparatoria e dove il livello di omicidi è il più alto nella nazione?
«We make something out of nothing», ti rispondono gli abitanti di Detroit. trasformano il niente in qualcosa. te lo dicono con un po’ di sarcasmo, ma anche con tanto orgoglio. Perché per i Detroiters rimasti all’interno della cerchia urbana negli ultimi sei decenni mentre le famiglie più benestanti – principalmente bianche – piano piano sono scappate verso i sobborghi, lo spirito di sopravvivenza è l’unica risorsa rimasta in tasca per affrontare il nulla o quasi che è stato lasciato. una città svuotata (la popolazione è passata dai circa 2 milioni del 1950 a meno di 700mila oggi), infrastrutture crollate, una leadership politica e imprenditoriale troppo spesso corrotta e sempre meno opportunità lavorative. Nel giro di quarant’anni, dopo i riots urbani del 1968, i confini della città – marcati da quella strada chiamata “8 Mile” resa famosa dal film omonimo del rapper Eminem che circonda la città – sono diventati simboli moderni di quell’America che continua a esistere, nonostante l’elezione di obama: un’America rimasta ai margini del sogno americano, super-segregata non solo al livello razziale, ma anche a livello socioeconomico.
A Detroit, l’82 per cento degli abitanti è rappresentato da neri, il reddito medio è di 15.261 dollari l’anno e il 60 per cento dei minori vivono in condizioni di povertà. Per fare un paragone, a Bloomfield Hills, uno dei numerosi sobborghi della città, l’89 per cento degli abitanti sono bianchi e il reddito medio è di 104.920 dollari l’anno. E la differenza è lampante. Basta fare una passeggiata per le strade dell’East Side di Detroit. Per strada, luci che non funzionano, case abbandonate, diroccate, bruciate. L’erbaccia cresce ovunque, incluso tra i rottami abbandonati di un’auto qua, e di una lavatrice là. Dire che ci si trova di fronte a un paesaggio post-apocalittico sembra un cliché, ma è difficile descriverlo altrimenti.
Ad attirare l’attenzione della stampa nazionale internazionale sull’agonia di Detroit è stata la dichiarazione di bancarotta. Sono anni che nella città dov’è nato l’American Dream si combatte una battaglia quotidiana semplicemente per vivere in modo dignitoso, e la creatività necessaria per “trasformare in qualcosa il niente”, ha spinto in un certo senso la città all’avanguardia in diversi ambiti. Per Malik Yakini, un ex-insegnante di scuola di 58 anni che vive nella stessa casa da quando è bambino, aiutare la propria città significa, per esempio, trasformare in orto coltivato a verdure un lotto abbandonato alla volta. Yakini è uno dei personaggi più attivi del movimento di agricoltura urbana della città. Lui e la sua squadra di volontari hanno trasformato in terreno coltivato lotti in ogni angolo delle 140 miglia quadrate di Detroit. «Se qualcuno vive accanto a una casa crollata, o a un lotto vuoto, ci può chiamare, e noi mandiamo una piccola squadra di tre o quattro persone. A carico nostro c’è il lavoro duro: rivoltiamo le zolle, piantiamo i premi semi e spieghiamo quello che si deve fare per curare l’orto fino a quando spuntano verdure e ortaggi.
Non facciamo questo per rendere la città più cool. Lo facciamo da anni perché voglio dare alla gente un modo… PER CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI
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