Welfare

La nuova Bretton Woods?bRipartire dal senso del lavoro

di Redazione

L a crisi economica e finanziaria che viviamo è il punto di arrivo di un processo lungo trent’anni che ha modificato alla radice il modo di essere e di funzionare della finanza e di conseguenza dell’economia. Con la globalizzazione, la finanza non solamente ha accresciuto enormemente la sua quota di attività, ma ha progressivamente contribuito a modificare il sistema di valori delle persone, e non a caso si è parlato di finanziarizzazione della società. Ora, sia pur con colpevole ritardo, tutte le autorità dicono: siamo al capolinea di quel modello.
Keynes nel 1926 aveva già avvertito: «Quando l’accumulazione del capitale diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò, è possibile che le cose vadano male». E così è stato, abbiamo vissuto anni da casinò globale. Non per un caso, ma per un progetto, quello di dare tutto a tutti (dalla casa alla pensione, ai viaggi, ai beni di consumo) non più attraverso il lavoro, il risparmio e la fatica, ma attraverso meccanismi finanziari. Già, perché apposite leggi hanno garantito persino l’assenza di controlli di prodotti sempre più mirabolanti. I derivati hanno così conosciuto un’espansione imponente, da circa 100mila miliardi di dollari nel 2001 a oltre 600mila miliardi alla fine del 2007, una cifra pari a 10 volte il Pil mondiale, cioè la ricchezza effettivamente prodotta dall’economia reale. Il casinò globale cominciò nel 1999, con l’abolizione della separazione tra banche commerciali e banche di investimento, poi venne la legge sulla Commodity Futures Modernization firmata da Clinton nel dicembre 2000 che consentiva di sottrarre i prodotti finanziari derivati alla sorveglianza sia della Sec sia della Commissione per il commercio dei titoli Future. Così la finanziarizzazione dell’economia ha tracimato non solo nella società producendo diseguaglianze, povertà e disoccupazione, ma anche nelle nostre anime proponendoci come misura del vivere il profitto e il consumo e offrendoci un aut aut: si vive tra euforia e panico.
Da dove ripartire, ora? Giustamente l’assemblea generale della Compagnia delle Opere si è convocata (seimila persone presenti per 34mila imprese, profit e non profit associate) per ragionare su una risposta possibile: «Dobbiamo rimettere la persona al centro dell’economia e del lavoro», ha detto il presidente della CdO, Bernhard Scholz, che ha spiegato: «In un momento di forte difficoltà per tutti è necessario recuperare una autentica cultura del lavoro. Quella che chiamiamo crisi finanziaria è infatti soprattutto una crisi dell’umano. Occorre ripartire dalla persona che lavora e dal senso del lavoro. Le imprese devono ritornare ad essere un’alleanza tra persone. Non c’è la risorsa umana, c’è l’uomo intero da coinvolgere in una costruzione di valore per tutti. La vera ricchezza può nascere solo dal lavoro. Per questo motivo chiediamo al governo di avere chiara la priorità del lavoro e dell’occupazione, e per questo chiedo a tutti voi di rendersi sempre più partecipi di chi non ha lavoro e di chi lo perderà».
Ripartire dal lavoro, quindi, dall’economia reale dei territori, dalla ricostruzione di reti di fiducia dentro la società. Sarebbe un bel programma per il settore non profit. Se qualcuno se ne accorgesse.

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