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La notte in cui son scomparse le lucciole

di Paolo Dell'Oca

Evoco lo Spirito del Natale Passato. Il primo febbraio 1975, in un articolo sul Corriere della Sera, Pier Paolo Pasolini sferra un durissimo attacco polemico alla Democrazia Cristiana servendosi della metafora della scomparsa delle lucciole: “Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato)”.

Prima di tutto vennero a prendere le lucciole, e non fui contento, perché rimanemmo un po’ di più al buio.

Lo Spirito del Natale Presente ci riporta all’oggi, in piazza Affari a Milano, dove il saggio indica la luna e lo stolto guarda il dito. Perché chi prova a mettere in luce il cortocircuito sono alcuni giovani che, caparbi, si esprimono con proteste simboliche, in pieno giorno, a volto scoperto, con vernice lavabile, senza opporsi ai conseguenti fermi polizieschi. Trattati da criminali, con lo Stato italiano che si dichiara parte civile per chiedere il ristoro dei danni materiali e morali. Forse si è preso lucciole per lanterne.


Lo Spirito del Natale Futuro ci mostra una scena in cui alcuni giovani sceglieranno gesti di disobbedienza violenta e bisognerà vedere chi sarà al Governo, se è di sinistra… No, impossibile… E bisognerà vedere chi di destra sarà al Governo.

Se fosse una donna ci sarebbe da aspettarsi una repressione più spietata a dimostrare agli elettori di destra che anche una donna sa usare il pugno duro. Se però fosse madre un’empatia maggiore potrebbe rilassarne l’intervento. Ma se fosse anche cristiana la certezza di essere nel giusto rispetto a quei senzadio, che di sicuro almeno un rave in vita loro l’avranno fatto, dissolverebbe qualunque reticenza.

E allora lo Stato italiano reagirebbe virtuosamente con taser e manganelli dei poliziotti, figli dei poveri, contro le pettinate nuche dei figli di papà, sopprimendo le proteste nel sangue e nelle caserme.

Ecco, fermoimmagine: da una parte ci son dei giovani che provano a sparare che la loro generazione non debba esser l’ultima, e dall’altra parte dei giovani che eseguono gli ordini di un potere politico servo di un potere economico servo di un potere finanziario servo di boh; un boh che si autoalimenta indisturbato da decenni. Senza codici identificativi sui caschi né sui colletti bianchi di alcuno.

E se i giovani antagonisti potrebbero emergere dall’inferno di quelle carceri, sudati fradici, semplicemente sfilandosi il visore di realtà virtuale (perché gli scontri non potrebbero mica capitare nella realtà non virtuale, dai), il boh invece trionfa tronfio, come fa sempre, per la mia rabbia e la mia rassegnazione. Il boh produce quei visori attraverso una società quotata in Borsa, e quei visori gli garantiscono un’importante base dati per profilare i pubblici di consumatori.

Grazie, Spirito del Natale Futuro, puoi tornare a letto ad abbracciare la tua insonnia.

Una mattina mi son svegliato e ho acceso Radio Popolare e la Esso mi spiegava in uno spot come stia lavorando per rendere green la propria azione; l’unica azione green che la Esso potrebbe compiere sarebbe quella di chiudere. Che va bene il greeniwashing a Sanremo, ma inquinare perfino le onde di Radio Popolare…

Il tema turbocapitalista non è politico, la geometria non è sempre più alta, ma sempre più altra, fino a polverizzarsi in un apparente vuoto di potere ma, come i silenzi parlano, anche i vuoti di potere decidono; non ci sono Nazioni Unite che tengano, e il palazzo di veto poco può. Ad inizio millennio studiavo con il Prof. Vittorio Emanuele Parsi di come l’ONU andasse tenuta in vita e l’editorialista di Avvenire ne scrive ancora oggi, sempre brillantemente.

D’altronde, rispetto alla prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, La Repubblica (quotidiano pubblicato da un’azienda controllata di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A., il cui presidente è John Elkann) riporta come “a guidare la prossima assemblea per il clima, prevista per dicembre negli Emirati Arabi Uniti, sarà il sultano Ahmed Al Jaber, ovvero l'amministratore delegato dell'Abu Dhabi National Oil Company”.

Lavoro delicato quello di trovare accordi che non indispongano gli sponsor, espressi in belle formule diplomatiche, senza sanzioni per tutti coloro che non rispetteranno gli accordi (non cediamo alla cosiddetta ecologia punitiva). E senza deterrenti sono dichiarazioni non che riusciranno a prevenire la scomparsa degli Stati insulari. Per la mia rabbia e la mia rassegnazione. Per mantenere il nostro standard di vita, dove quel nostro per ora comprende anche noi (noi chi?), ma lo farà sempre meno.

D’altronde il capitalismo (termine che di solito evoca sbadigli) è incompatibile con l'ambientalismo (termine che di solito evoca sbadigli). E forse il capitalismo decreterà il termine dell'abitabilità umana del pianeta, per gli sbadigli degli altri animali abitanti superstiti.

Quindi come se ne esce è chiaro: basta continuare così, senza che gli Stati dichiarino l’emergenza ambientale; è invece più arduo capire come si rimane dentro.

Emma Clit, ingegnera francese, ha messo in pausa la sua vita per 5 mesi per studiare report ambientali internazionali e poi raccontare quanto la situazione sia disperata nel graphic novel Cambiamo il sistema non il clima (Laterza, 2022). Dopo un'esamina approfondita spiega che per iniziare l’articolato percorso in cui scrollarci di dosso collettivamente il feticcio della crescita, prodotto dalla società che già Pasolini deprecava, è necessario (ma non sufficiente) essere tante e tanti, solidali, e paralizzare l’economia. Andando ovviamente a cambiare il nostro stile di vita, sopprimendo la pubblicità, le automobili, l’obsolescenza programmata, il concetto di moda,…

Procediamo individualmente e comunitariamente, allora. In modo da unire l’azione ristretta di Miguel Benasayag all’impegno collettivo di Zerocalcare e rendere la vita su questo pianeta di buona qualità per le ultime e per gli ultimi, quindi per tutte e per tutti.

Possibile? Francamente non credo, ma che ne posso sapere io? E poi mi riesce difficile rassegnarmi, per mia figlia: questo momento della sua vita è una figata, può diventare tutto, può esser ferro o può esser piuma, può essere felice e realizzata o può essere interista.

Potrebbe, ovviamente lo deciderà lei, lavorare nel sociale e nella cultura come i suoi genitori, e mi chiedo: ma quanto noi come lavoratori del terzo settore, troppo spesso ancella del pubblico, che nelle peggiori narrazioni veniamo definiti le anime belle del volontariato, siamo funzionali ad un sistema che le ultime e gli ultimi li fa affogare, li dimentica in carceri sovraffollate, minaccia di toglier loro il reddito di cittadinanza, li fa morire congelati nelle foreste balcaniche, e costringe i penultimi ad avere un conto in banche che poi investono i loro soldi in armi e in combustibili fossili?

Quanto il sociale privato costituisce quella voce antisistema (ma controllata e controllabile) che Pasolini additerebbe come salvaguardia di un regime di fascismo democristiano, regime che va in direzione ostinata e contraria al welfare per tutte e per tutti?

Non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca con una colonna sonora che pare suonata dall’orchestra del Titanic: quell’orchestra fa arte, e l’arte è l’oppio dei popoli colti. Il Titanic è manovrato da chissà chi, ma si tratta sicuramente di maschi bianchi cisgender benestanti in età avanzata (praticamente io).

Uomini, ma soltanto finora. Bill Gates scriveva già negli anni ’90, ma cito a memoria e la mia memoria fa ridere, che il prossimo processore in uscita sul mercato sarà potente il doppio dell’ultimo, e bisognerà attendere la metà del tempo per averlo. E a 15 anni m’interrogavo su come potesse l’essere umano velocizzare esponenzialmente la propria capacità di sviluppo tecnologico; non sarà l’essere umano a farlo: l’intelligenza artificiale prenderà il timone di un Titanic che non si schianterà contro nessuno iceberg, a causa del riscaldamento delle acque. A quel punto non ci saranno più le mezze stagioni, ma ce ne sarà soltanto una. Un’estate di 365 giorni.

Se 60 anni fa in Italia le lucciole non fossero scomparse, la stagione unica le avrebbe quantomeno estraniate: questi insetti emettono intermittenti segnali luminosi nel periodo dell'accoppiamento, che avviene fra la tarda primavera e l'inizio dell'estate.

La stagione dell’amore viene e va, cantava Battiato. E poi non è più tornata, non c’è più, si è estinta come il posto assegnato al cinema: la prima fila costa mille lire. La seconda cento, la terza dolore e spavento. Ma anche il posto al cinema, negli esercizi che resistono all’assedio delle piattaforme di streaming, non è più segnato sul biglietto. Quindi non ci sono neanche più quelle inservienti, solitamente donne leggo sulla Treccani, che indicavano la poltrona agli spettatori entrati durante la rappresentazione o in generale nei momenti in cui la sala è buia, servendosi di una lampadina tascabile. Si chiamavano lucciole. Un lavoro povero al servizio della cultura, un lavoro scomparso, che forse siamo chiamati a ricoprire noi in un momento storico come questo.

Nei primi anni sessanta, dal 2060 in poi, a causa di catastrofi naturali (che han provocato migrazioni ambientali e guerre), a causa di pandemie e denatalità sono cominciate a scomparire le persone. Il fenomeno è stato graduale e torpido. Dopo molti anni le persone non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato).

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