Famiglia

La nostra vita per un diritto

La dichiarazione dell’Onu compie mezzo secolo. Per ricordarla quindici storie di persone perseguitate per difendere uno dei princìpi contenuti nei celebri trenta articoli.

di Massimo Persotti

Diritti umani subito, recita uno slogan di Amnesty International, che si appresta a festeggiare il cinquantesimo anniversario della dichiarazione dell?Onu. Ma come ben sanno gli attivisti del movimento internazionale, siamo ancora ben lontani dalla realizzazione degli impegni che gli Stati membri delle Nazioni Unite presero il 10 dicembre 1948 sottoscrivendo quel celebre documento. Per esteso: Dichiarazione universale dei diritti umani. Su quella carta è disegnato il futuro possibile di un mondo migliore: uguale dignità e diritti per tutti gli esseri umani, diritto alla vita, proibizione della schiavitù, bando delle torture: un mondo dove i diritti umani e le libertà fondamentali siano una realtà per tutti. Trenta articoli che ancora oggi rappresentano solo un ideale difficile a concretizzarsi. Ma non impossibile. Per questo Amnesty International ha deciso di ricordarceli attraverso una campagna di sensibilizzazione e denuncia contro le molteplici violazioni che ogni giorno si registrano in tutto il mondo. Queste le iniziative: un sito Internet, la distribuzione della copia della Dichiarazione universale, il Grande libro delle firme per raccogliere (si augura il movimento) cinque milioni di adesioni. E poi le petizioni su quindici casi di attivisti per i diritti umani perseguitati: sindacalisti, giornalisti, intellettuali, politici imprigionati, torturati o uccisi per aver chiesto il rispetto di quanto sancito dalla Dichiarazione universale. Sono quindici testimonial unici: ne ricordiamo cinque particolarmente significativi, affinché la loro storia impedisca che altre uguali si ripetano. Tek Nath Rizal, rappresentante del Consiglio consultivo reale del Buthan. Ha svolto una campagna contro le discriminazioni subite nel suo Paese dalla minoranza etnica nepalese (artt. 1 e 2): oltre 90 mila persone di etnia nepalese sono infatti costrette a vivere in campi profughi. Per le sue denunce è stato costretto all?esilio nel Nepal, dove ha fondato un movimento per i diritti umani. Nel 1989 è stato arrestato e consegnato alle autorità del Buthan. Incatenato per venti mesi, nel 1993 si è svolto il processo al termine del quale è stato condannato all?ergastolo. Aktam Nu?aysa, quarantenne avvocato siriano. Arrestato per aver scritto, insieme ad altre 16 persone, un volantino per denunciare le violazioni dei diritti umani compiute nel Paese. Prima torturato in cella (in violazione dell?art. 5) poi sottoposto a un processo farsa: negato il diritto di incontrare l?avvocato e le prove dell?accusa costituite da confessioni estorte sotto tortura. Condannato nel 1992 a nove anni di carcere, si trova attualmente in isolamento e soffre di disturbi renali. Nadezhda Chaykova era invece una giornalista di un apprezzato settimanale russo incaricata di seguire il conflitto armato in Cecenia. Scoprì una rete di corruzione che investiva i capi di ogni fazione in lotta. Dopo i primi articoli, le minacce di morte, ma lei continuò il suo lavoro. Nel marzo del 1996 viene ritrovata uccisa a venti chilometri da Grozny, la capitale cecena. Un colpo alla nuca, dopo essere stata bendata e picchiata duramente. Un?esecuzione. Assassinata perché si voleva farla tacere (l?articolo violato è il 19). Aveva 32 anni. Leticia Moctezuma Vargas è una insegnante messicana che insieme ad altri membri della sua comunità e ad altre organizzazioni locali ha condotto una pacifica campagna contro la realizzazione di un campo di golf e un complesso turistico su un?area sacra. Nell?aprile 1996, durante una marcia, Leticia e gli altri manifestanti vengono aggrediti dalla polizia che picchia indiscriminatamente donne e bambini. Un membro della comunità viene ritrovato morto. All?inizio del mese di luglio 1996, Leticia viene telefonicamente minacciata di morte (art. 3). Zafaryab Ahmed è un giornalista pakistano impegnato contro il lavoro obbligato, una particolare forma di schiavitù cui sono soggetti soprattutto i bambini (art. 4). Per le sue denunce, Zafaryab Ahmed è stato arrestato e accusato di sedizione. Il processo deve ancora svolgersi. Beko Ransome-Kuti, presidente di una coalizione di gruppi nigeriani che si adoperano per la democrazia e i diritti umani. Per aver denunciato i processi segreti e iniqui (art. 10) a cui vennero sottoposti nel 1995 quarantatré persone, sono stati a loro volta condannati per complicità a ben 15 anni di carcere. Ransome-Kuti è stato prima tenuto in isolamento e ora si trova internato a Katsina, soffre di malaria ed è molto malato, ma non gli viene assolutamente garantita la necessaria assistenza medica. La carta Art. 1 Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Art. 2 A ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Art. 3 Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Art. 4 Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù. La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma. Art. 5 Nessun individuo potrà essere sottoposto a qualsiasi tipo di torture, maltrattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti. Art. 19 Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione.


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