Formazione

La nostra rivoluzione studiata a tavola

Terzo o non più Terzo. Il modello Coldiretti

di Giuseppe Frangi

Garantisce Aldo Bonomi che nessuna delle grandi organizzazioni di rappresentanza ha saputo intraprendere un processo di rinnovamento radicale come Coldiretti. Del resto, a guardare in faccia e a leggere la biografia del suo presidente se ne ha una conferma immediata. Sergio Marini ha 42 anni, è laureato in agraria e nel febbraio scorso è stato eletto con un consenso plebiscitario. Decisamente è un uomo nuovo, non solo anagraficamente. Non ha paura delle sue idee, è orgoglioso del suo mestiere – è florovivaista – e del suo ruolo di oggi ed è convinto che le 568mila imprese associate (cifra che fa della Coldiretti la maggiore organizzazione agricola in Europa) non gli chiedano ombrelli protettivi bensì capacità di visione e di aprire nuovi orizzonti.

Vita: Oggi tutte le grandi rappresentanze annaspano. Voi invece mostrare una vivacità sorprendente. Qual è la ricetta di Coldiretti?
Marini: Io ho una lunga storia dentro la mia organizzazione e quindi ho potuto seguire da vicino questo processo radicale di rinnovamento. Venivamo da una storia di collateralismo spinto che ci ha accompagnato sino a quasi 15 anni fa. Paradossalmente la nostra salvezza è stata la profondità stessa della crisi che ci siamo trovati ad affrontare. Da una parte la fine della prima Repubblica e quindi il crollo di tutti i meccanismi che avevano fatto la nostra forza, dall?altra il declino di un mondo, quello agricolo, che sembrava inarrestabile. Ormai eravamo identificati come un settore residuale, senza futuro. Si parlava di agricoltura solo in termini di eccedenze, di sussidi pubblici; come se fossimo un problema sociale e non una risorsa economica. Ci siamo quindi trovati davanti a un baratro e a poco sarebbero servite semplici manovre di aggiustamento. C?era una situazione tutta da reinventare e si poteva farlo solo con un pizzico di fortuna e una classe dirigente che avesse qualche idea nuova e diversa.

Vita: Quali idee avete tirato fuori dal cappello?
Marini: La nostra fortuna è quella di aver vissuto dieci anni fa un grande ricambio generazionale. Ci è stato più facile liberarci da tanti condizionamenti e fare riflessioni più radicali. Ci siamo chiesti quale potesse essere la prospettiva per le persone che rappresentavamo. E ci è apparso subito chiaro che limitarsi ad un?azione di conservazione del presente e arroccarsi sarebbe stata una partita persa. Invece la questione vera era quella di capire quello che la società si aspettava da noi.

Vita: Cosa si aspettava la società da voi?
Marini: Lì è arrivata la sorpresa. Perché iniziando a interloquire con chi poteva raccontarci la nuova domanda emergente, abbiamo scoperto che il bisogno alimentare non era più visto nei termini di quantità ma di qualità. E che anche l?approccio al tema decisivo della sicurezza alimentare era profondamente cambiato. Non c?era più l?ansia di avere cibo a sufficienza, c?era una nuova attesa, quella di avere cibo sano e che obbedisse a determinati requisiti. Insomma, seguendo la domanda, emergeva il profilo chiaro di un?agricoltura diversa, sostenibile, legata al territorio, identitaria. La sfida a questo punto è stata quella di trasmettere questo nuovo orizzonte ai nostri associati.

Vita: E com?è andata questa sfida?
Marini: Ci voleva quindi una classe dirigente che volesse assumersi responsabilità e rischi. Ma se questo era quello che la società si aspettava dalle nostre imprese, era evidente la necessità di riconvertirci. I nostri associati hanno colto la cosa non nei termini del problema ma dell?opportunità, così hanno avviato un cambiamento che sta trasformando il volto della nostra organizzazione.

Vita: Ed è quindi cambiato anche il vostro modo di fare rappresentanza?
Marini: Certamente. Abbiamo appena realizzato una ricerca per capire quale sia l?attesa dei nostri associati oggi, nei confronti della Coldiretti. Ed emerge una distinzione netta rispetto alle altre rappresentanze agricole. Secondo i nostri soci la cosa più importante che debba fare un?organizzazione di rappresentanza è quella di creare un collegamento con il cittadino consumatore. È una relazione che viene considerata anche di valore economico, perché meglio siamo riconosciuti dai cittadini, più riusciamo a soddisfare le esigenze legittime. Questo cambia completamente il modo di fare rappresentanza, anzi la rovescia. Perché invece di portare gli interessi degli associati ai piani alti della politica, dobbiamo lavorare per intercettare le evoluzioni della domanda. Dobbiamo sempre fare collegamento, ma a valle? Il vecchio schema della rappresentanza in Coldiretti è caduto.

Vita: Eppure il rapporto con la politica è sempre un passaggio obbligato.
Marini: Certamente. Ma oggi lo viviamo forti di un?autonomia reale, che ci porta a scendere in piazza senza guardare chi in quel momento stia al governo. Poi è cambiato anche lo stile dell?interlocuzione: siamo propositivi. I nostri no alla politica sono sempre legati alla proposta di ipotesi nettamente migliorative. Oggi posso tranquillamente dire che Coldiretti ha risolto il problema del nesso con la politica. Trattiamo con grande libertà e con la consapevolezza di avere nella testa un?idea di sviluppo assolutamente interessante per il Paese e non solo per il settore che rappresentiamo.

Vita: A proposito di modello di sviluppo: un ostacolo sulla vostra strada certamente l?avete. È l?industria agroalimentare.
Marini: Il rapporto generalmente non è positivo. Nel nostro Paese c?è un sistema industriale abituato a ?schiavizzare? la parte agricola. Sono fermi a un film che non ha più futuro: quello che ci vedrebbe come puri fornitori di materia prima, magari protetti dalla politica che ci sostiene a forza di sussidi. Non si sono accorti che l?agricoltura vuole essere impresa e in gran parte ha già operato questa conversione. Non siamo più il primo anello di questa catena di montaggio. Invece gli industriali continuano a sognare un?agricoltura protetta, ma a loro disposizione.

Vita: Non è una logica propria dell?industria che deve rispondere a consumi di massa?
Marini: No. È semplicemente un modello sbagliato, che ha 20 anni di ritardo. E che presto verrà stritolato nella morsa della distribuzione. L?industria verrà messa nell?angolino come semplice processo di trasformazione.

Vita: E invece?
Marini: Invece dobbiamo lavorare in direzione opposta. Costringere tutti i produttori a dichiarare la provenienza delle materie prime in etichetta, valorizzare il vero made in Italy. Oggi nel mondo ogni cinque prodotti venduti come italiani solo uno lo è davvero. Ma quello è tutto un immenso mercato che ci aspetta e che oggi ci è stato scippato. Questa sarebbe una buona logica industriale.?


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