Welfare
La nostra casa per i senza dimora di Roma
«Una casa, non un dormitorio», precisano gli operatori di Fondazione Progetto Arca che lavorano a Casa Arca, a Roma, nel quartiere di Grottarossa: un appartamento di circa 100 metri quadrati che accoglie uomini in difficoltà e senza un’abitazione. Noi ci siamo entrati
Francesco e Massimiliano sono in cucina a preparare la parmigiana di melanzane. Roberto e Salah stanno studiando sul balcone: si scambiano la conoscenza delle loro lingue, italiano e arabo. Mauro è in camera sua al computer. Albert non è ancora rientrato.
Siamo a Casa Arca, a Roma, nel quartiere di Grottarossa. Un appartamento di circa 100 metri quadrati, in cui Fondazione Progetto Arca accoglie uomini in difficoltà e senza un’abitazione, con il progetto “Finalmente a casa!”.
Progetti personalizzati
«Da circa 24 anni, la Fondazione aiuta le persone sen- za dimora, che vivono una situazione di marginalità, operando in molte città italiane» spiega Cinzia Machelli, referente di Progetto Arca a Roma. «Qui a Roma, abbiamo due attività principali. La prima è l’Unità di Strada: ogni lunedì, un gruppo di operatori e volontari porta cibo a chi vive in strada nella zona di San Pietro. E poi, nel 2013, abbiamo aperto appunto Casa Arca. Fino ad oggi abbiamo ospitato 26 uomini, dai 30 ai 64 anni, sia italiani che stranieri. Mai più di quattro o cinque alla volta. Il modello proposto si differenzia dunque da quello dei centri di accoglienza: è una struttura micro-residenziale, do ve gli ospiti vivono in semi-autonomia. Si tratta di persone che hanno perso la casa dopo un licenziamento, una separazione, un problema di salute… Alcune di loro vengono dalla strada, altre da centri di accoglienza. Attraverso dei colloqui, in collaborazione con la sala operativa del Comune di Roma, selezioniamo coloro che riteniamo più adatti per intraprendere un cammino verso l’autonomia. Un criterio impor- tante di scelta è per esempio che non abbiano dipendenze gravi».
«In media gli ospiti si fermano qui un anno, durante il quale viene studiato un percorso personalizzato che li porti a riconquistare fiducia in sé stessi e li aiuti a trovare un lavoro» spiega l’educatrice Flavia Uguccioni. «Insieme fissiamo degli obiettivi e, attraverso degli incontri settimanali, cerchiamo di capire come raggiungerli. È un lavoro di équipe, perché dialoghiamo anche con gli assistenti sociali e con le strutture che precedentemente hanno accolto l’ospite. La metà delle persone che sono passate da Casa Arca è riuscita a intraprendere un cammino di autonomia e ad avere un’abitazione propria o in con- divisione. Gli altri sono rientrati in centri di accoglienza. Molti però restano in contatto con la Casa e spesso passano a trovarci o a prendere un caffè».
La vita a Casa Arca si svolge come in qualsiasi casa. Al mattino ci si sveglia, si sistema la propria camera, si fa colazione e poi ognuno va dove deve andare: a cercare lavoro, a fare un corso di italiano, dal medico… Spesso al pomeriggio si organizzano laboratori artistici, che hanno lo scopo di promuovere la socialità e di creare uno spirito di squadra.
Nuovi legami
«A Casa Arca ti aiutano a tirare fuori quello che hai dentro» racconta Massimiliano, 50 anni. «Qui ho imparato a cucinare. La cena la preparo io per tutti. Da pochi giorni ho preso pure un attestato che potrebbe essermi utile per lavorare in un ristorante. Al lunedì, poi, io e Francesco, un altro ospite, cuciniamo quello che viene distribuito dall’Unità di Strada a sessanta persone senza dimora. D’inverno la zuppa e d’estate la pasta. Ci tengo moltissimo, perché so che cosa vuol dire vivere in quelle condizioni. Anche se io ero fortunato, perché avevo l’appoggio di un’auto dove dormire».
«A tutti può succedere di finire in strada» prosegue Mauro, 60 anni, con una capacità comunicativa davvero unica. «Sono un informatico. Ho sempre lavorato per aziende importanti. Ad un certo punto ho perso il lavoro e i risparmi sono finiti. Che cosa mi ha insegnato questa storia? Che si cade, sì, ma ci si può risollevare. E che una storia come la mia può succedere anche a chi non lo immagina. Se ti capita, devi rimboccarti le maniche. E avere la fortuna di trovare persone come quelle che ho trovato io qui. Quando al mattino ti alzi da una panchina, qualunque cosa tu faccia, hai sempre in testa quella panchina. Qui puoi ritrovare la serenità necessaria per affrontare il mondo».
«La casa restituisce non solo dignità, ma anche legami famigliari:», commenta Cinzia, «spesso chi finisce in strada, per la vergogna taglia ogni rapporto con i parenti. Dopo pochi mesi a Casa Arca, ci si sente più forti e in molti riallacciano i contatti con figli o genitori». Fondamentale nel progetto è il ruolo dei volontari, che al momento sono 15. Tra di loro c’è Roberto, medico, che spesso va a Casa Arca per dare una mano.
«Casa Arca usufruisce anche della Banca del Tempo promossa dal Comune di Roma:», racconta, «un’iniziativa che consente di scambiare competenze tra gli ospiti e i cittadini. Io, per esempio, per lavoro ho necessità di conoscere un po’ di arabo e quindi ogni settimana mi incontro con Salah, che ha abitato qui fino a poco tempo fa e che vuole imparare l’italiano. Spesso i nostri ospiti vanno in una sede della Banca del Tempo che è qui vicino: lì incontrano altre persone e coltivano pure un piccolo orto. Gli arredi di legno che abbelliscono gli spazi sono stati realizzati da Enrico, un signore che abbiamo conosciuto in strada portando il cibo e che ora vive in un centro di accoglienza ed è diventato pure nostro volontario».
Mentre Roberto racconta, si sente una musica in salotto. Albert, rientrato in casa da poco, è seduto alla pianola elettrica. Diplomato in pianoforte in Russia, è in Italia da molti anni, ma dopo una serie di vicissitudini è finito in strada. Qualche settimana fa, Progetto Arca ha organizzato un concerto dove Albert ha suonato insieme alla ex moglie, diplomata in violino, davanti al- le figlie. «Un’emozione unica per tutti noi» conclude Cinzia, «È la dimostrazione che Casa Arca può essere davvero il punto di ripartenza».
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