Politica

La nostra casa ha sei porte aperte

Si definiscono“ente famiglia”. Dal 2003 abitano un cascinale ristrutturato, accogliendo i ragazzi che lasciano le comunità per accompagnarli nel lavoro e nell’inserimento sociale.

di Chiara Sirna

«Siamo un ente famiglia». Patrizia Cappelletti, una delle mamme che dal 2003 ha deciso di cambiar vita e soprattutto casa, definisce così l?esperienza che la vede in prima linea. Un?esperienza che, osservata con uno sguardo veloce, non sembra diversa dalle tante case famiglia che in Italia aprono le loro porte all?accoglienza dei minori. L??ente famiglia? che Patrizia condivide con altre cinque coppie ha un nome molto evocativo. L?hanno chiamata Radici e ali. Che di primo acchito sembra quello di un serial tv, ma che poi, a pensarci bene, contiene tutto il programma: le ?radici? sono quelle di un ambiente familiare per chi non ce l?ha; le ?ali? sono la possibilità di progettare un futuro. Mutui per 25 anni La casa di Radici e ali è una bella casa di campagna, a Fino Mornasco, nelle vicinanze di Como, che ricorda la struttura dei vecchi cascinali. Qui abitano le sei coppie che, facendo mutui per 25 anni, nel 2003 hanno deciso di dar vita a questa esperienza di accoglienza. I debiti sono loro, ma la casa è intestata all?associazione. «O ci si fida o ci si fida, altrimenti non ha senso imbarcarsi in un?avventura come la nostra». Già un?avventura. Perché Radici e ali si è concepita come un servizio aperto al territorio, aperto, per esempio, a chi esce dalle comunità ma non può ancora tornare a vivere con i genitori naturali o a chi una famiglia proprio non ce l?ha. Alle spalle dell?ente famiglia c?è il lavoro di un coordinamento provinciale, esperienza innovativa in Italia, che mette in sinergia tutti i servizi del territorio, da quelli sociali istituzionali a quelli residenziali. Il coordinamento ha messo in rete 20 realtà locali per minori, dalle comunità alle fondazioni, per finire alle cooperative sociali e, appunto, alle associazioni di famiglie. Rispondendo in questo modo ai bisogni nel modo più efficace. E facendo dialogare esperienze che seguono metodi differenti. In questo contesto le sei coppie nel 2003 hanno deciso di fare il passo, pagando tutto di tasca propria. Chi già aveva una casa l?ha venduta, chi doveva comprarla si è semplicemente unito al gruppo. Ognuno ha il suo appartamento e la sua indipendenza, ma di tanto in tanto si aggiunge qualche ospite. Da quando hanno aperto i battenti, hanno ospitato tre ragazzi maggiorenni in uscita dalle comunità e una madre con tre bimbi. In due anni dunque ?appena? sette persone. E non è un caso. «Abbiamo scelto di lavorare al dettaglio piuttosto che all?ingrosso», dice Massimo Negri, un papà della casa, «tutelare l?equilibrio delle famiglie e dei nostri figli è essenziale». Il contatto con le comunità e i servizi sociali del territorio è costante: è da loro che partono le segnalazioni, poi scatta la valutazione interna. Se l?accordo c?è, si procede. «Li aiutiamo a cercare lavoro, a studiare o semplicemente a vivere in famiglia, a volte non sanno nemmeno cosa voglia dire», spiega Pierangelo Noseda. Ma nessuno ha mai pensato di arruolare operatori. «Le comunità supervisionano», ribadisce Patrizia, «il nostro ruolo resta quello della famiglia accogliente». La vita infatti è scandita dagli impegni di sempre: i 12 genitori lavorano e i 18 figli, tanti sono quelli ?fissi? tra naturali e in affido, vivono la loro età tra scuola, università, sport e volontariato. A piccoli passi Persone normali insomma, ognuno con la sua vita e il suo lavoro, che però quando tornano a casa hanno qualche ?impiccio in più? e, magari, passano le serate intorno a un tavolo a discutere sul da farsi. Per il resto si stringe la cinghia e si pagano rate su rate perché le spese sono tante. Di tutta la struttura soltanto i bilocali per l?accoglienza sono infatti pagati da un?associazione di famiglie del territorio, Aqm. Ma la forza di Radici e Ali sta proprio nella sua normalità, con piccoli numeri, ma ottimi risultati. Poi certo, anche la fortuna deve fare la sua parte. «Mi misurano la febbre ogni giorno per vedere se do segni di cedimento», scherza Massimo, il 51enne più temuto della casa. «Sono il nonno della situazione, ma ho tanto da vivere perché ho i mutui da pagare».


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