La nostra Carovana colpita dal Covid

Franco Taverna, coordinatore generale dell'area povertà educativa della Fondazione Exodus di don Mazzi, racconta le settimane difficili della prima carovana del progetto "Pronti Via!". «L’imprevisto, l’incertezza, la noia, l’attesa, il peso del dubbio e quel vago senso di colpa… educare ai tempi della pandemia, nella carovana con minori che hanno commesso reati»

di Franco Taverna

Il giorno 23 ottobre tutti i componenti della Carovana “Pronti, Via!” di Fondazione Exodus (progetto selezionato dall'impresa Sociale Con i Bambini, un intervento quadriennale per i minori sottoposti a misure restrittive da parte della Autorità giudiziaria, attraverso il modello “Carovana”. Invece di stare in carcere i ragazzi si mettono in marcia per l’Italia insieme ad un gruppo di educatori), educatori e ragazzi, si sono sottoposti al tampone dopo che nei giorni precedenti si erano manifestati alcuni sintomi preoccupanti nel gruppo. Risultato: 9 persone positive su 13.

Fino a quel giorno la pandemia era un racconto pure terribile ma separato dalle nostre storie, la burrasca stava fuori, alla radio, ora improvvisamente occupava tutto in maniera confusa. La Carovana è una avventura senza rete e l’impatto del virus faceva vacillare le poche sicurezze che come gruppo e come individui si erano conquistate nei primi tre mesi di fatica, di cambiamento di progressi personali. Come se si fosse spenta di colpo la luce ci siamo trovati investiti dal dubbio su cosa fare, ma prima ancora da un vago senso di colpa. Forte tensione e disorientamento.

Nel nostro compito di educatori proviamo a darci due dritte per rimanere a galla. Per prima cosa diciamo che non si può negare la situazione, scappare o far finta di niente, serve invece saper stare nell’incertezza. Ma anche stare nella noia, stare fermi, cosa che sembra impossibile per Andrea, che da quando era piccolo non è mai riuscito a stare al banco in classe e per questo motivo ha accumulato una serie di sospensioni. È il primo passo ed è indispensabile. Non si può vivere trattenendo il fiato finchè passi la tempesta, stare sospesi maledicendo tutto e tutti aspettando di riprendere le vecchie abitudini come crede di fare subito Jack, inseguendo una sicurezza che non esiste, cercare di trovare espedienti per cavarsela alla meglio. Stare nell’incertezza significa saper accettare il peso del dubbio, significa non attendersi solo dagli altri la ricetta giusta su come agire.

Il secondo passo consiste nel saper attraversare l’incertezza. Non si sta seduti aspettando che piova. L’incertezza si affronta camminando. E quando non si può camminare con le gambe si deve camminare con il cuore e con la testa.

Qui, specialmente per i ragazzi partecipanti ma anche un po’ (tanto) per tutti noi, attraversare l’incertezza vuol dire affrontare quei piccoli o grandi ostacoli interiori che ci bloccavano alcune importanti relazioni, e ci si illudeva di procedere riempiendo le giornate di impegni e di rumori. Ma c’è Mourad che vive nella periferia di un grosso paese e che sa bene che non appena atterrato a casa gli ronzeranno intorno i suoi vecchi amici dai quali non è capace di prendere le distanze. E anche Paolo che è sempre in chat non riesce ancora a scrollarsi di dosso la maschera del bullo.

Stare in quarantena per questi “nostri” ragazzi è una prova difficile, costretti gomito a gomito con dinamiche mai risolte, gli educatori lo sanno ed è indispensabile mantenere viva una relazione positiva, essere pronti a sostenere. Ma dobbiamo affrontare i divieti, le regole, siamo tornati in Lombardia, zona rossa. Sembra tutto in salita ma rimaniamo educatori con il dovere di continuare a seminare e sperare.

*Franco Taverna, Coordinatore Progetto “Pronti, Via!” selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile

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