Sostenibilità

La nostra battaglia per la conservazione? Deve ancora cominciare

L’Italia aderisce a una serie di convenzioni internazionali. Ma mancano gli strumenti legislativi per applicarle. E il conto alla rovescia continua, di Massimiliano Rocco

di Redazione

Una stima prudenziale oggi porta a supporre in 27mila le specie annualmente condannate nel mondo, e parliamo delle sole foreste pluviali. Con due facili conti ci possiamo rendere conto che si tratta di 74 specie al giorno, una specie ogni venti minuti. Il mondo scientifico è sempre più incline a ritenere che il tasso corrente di estinzione dovuto al pesante intervento sugli ecosistemi operato dall?uomo sia di almeno mille volte superiore al tasso naturale di estinzione. Nell?ultimo Global Species Assessment dell?Iucn (2004) la realtà dei fatti sembra addirittura andare oltre le più tristi previsioni: in questo monumentale lavoro gli scienziati coinvolti riportano ben 15.589 specie a rischio di estinzione e non per tutte quelle conosciute è stato possibile valutarne lo status.

Le Liste Rosse si arricchiscono di migliaia di nuove specie ad ogni revisione. Le sempre maggiori conoscenze scientifiche denunciano una situazione gravissima, dove la distruzione degli habitat naturali, l?immissione di specie estranee, l?alterazione degli ecosistemi con l?immissione di sostanze inquinanti, la persecuzione diretta da parte dell?uomo, l?eccessiva caccia, e i repentini cambiamenti climatici stanno condannando all?estinzione migliaia di altre specie viventi. E non si deve andare tanto lontano: l?estinzione è di casa anche da noi.

Rischi di casa nostra

Per cercare di fronteggiare tutto ciò la comunità internazionale si è dotata di accordi e convenzioni internazionali. L?Italia le ha ratificate tutte – Convenzione di Washington, Convenzione di Parigi, Convenzione di Bonn, Convenzione di Berna, Convenzione di Rio -, ma forse abbiamo tralasciato di predisporre interventi seri per applicarle, per non parlare delle esigue risorse. Addirittura nel nostro quadro normativo – seppur ricchissimo – , manca una legge nazionale per la conservazione della nostra fauna e flora, che detti anche al nostro sistema di aree protette quegli indirizzi operativi e gestionali di cui si sente un grande bisogno. Un vuoto legislativo grave che va urgentemente colmato.

Lungo tutto il nostro Stivale, dalle valli del bresciano alle isole tirreniche, allo stretto di Messina, il bracconaggio miete tante vittime, decine di migliaia i soli piccoli passeriformi vittime di reti e archetti, vischio e prodine, il veleno continua ad uccidere decine di lupi l?anno, i rari orsi bruni ancora presenti sull?Appennino vengono braccati fino nel folto delle foreste di faggio, finendo agonizzanti nei lacci o vittima dei bocconi avvelenati. Gli scavi abusivi per il prelievo di inerti, piaga del casertano, sono stati trasformati in tanti specchi d?acqua che nel periodo di passo attraggono a migliaia anatre e trampolieri che lì concludono, impallinati, il loro volo di migrazione. E questi sono solo alcuni dei più frequenti e conosciuti danni perpetrati alla biodiversità.

Una legge quadro sulla fauna deve essere il punto di partenza per promuovere a livello nazionale interventi strutturali per preservare la nostra biodiversità, per intervenire concretamente nella conservazione di specie, sottospecie o anche solo popolazioni in pericolo e per le quali lo Stato, in collaborazione con i diversi enti locali, si deve fare tutore e custode. Con fatti e azioni concrete.


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