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la nonviolenzain carne e ossa

biografie Dieci anni fa moriva Danilo Dolci

di Redazione

Come puoi essere felice, se intorno a te i tuoi fratelli vengono consumati e travolti dalla fame e dalla miseria? A questa domanda, in tanti altri casi retorica, Danilo Dolci ha risposto nel modo più concreto: con la sua vita. Che oggi, a distanza di dieci anni dalla sua scomparsa avvenuta il 30 dicembre 1997, viene ripercorsa da un suo allievo, Giuseppe Barone con Danilo Dolci. Una rivoluzione nonviolenta.
Il valore di questa biografia sta nella capacità del curatore di proporre il Gandhi italiano – come la stampa lo battezzò dopo lo sciopero della fame che praticò sdraiato sul letto di Benedetto Barretta, un bambino siciliano morto di inedia – attraverso le parole e gli scritti dello stesso Dolci e di chi ne condivise le battaglie. Una scelta che permette di apprezzare l’originalità di un personaggio forse unico. Un uomo, così tanto coerente da apparire talvolta senza bussola, capace di abbandonare gli studi in architettura ad un esame dal traguardo per andare a vivere nella Nomadelfia di don Zeno Saltini. Per poi mollare don Zeno per approdare nel paese più povero che avesse mai visto: Trappeto, in Sicilia. A suo agio, ugualmente, fra gli operai di Sesto San Giovanni, i disoccupati di Partinico e nei dialoghi con gente del calibro di Carlo Levi, Elio Vittorini o Norberto Bobbio. Che di lui scrisse: «La via presa da Danilo Dolci è stata una via diversa, tanto diversa da essere insolita e singolarissima: è stata la via del non accettare la distinzione fra il predicare e l’agire, ma del far risaltare la buona predica dalla buona azione e del non lasciare agli altri la cura del provvedere».
A Genova, nel 1943, Dolci fu incarcerato dai nazifascisti. In un’intervista con Mao Valpiana ripercorre quel passaggio: «È mai possibile che veda giusto e che tutti gli altri non vedano o vedano male? Avevo il dubbio di essere matto. Poi quando sono tornato non ho più trovato una sola persona che si dicesse fascista. Allora ho realizzato: quando uno ha una posizione di coscienza deve essere umile, ma approfondire in quella direzione». L’ultima parte del libro, firmata dal figlio di Dolci, Amico, è dedicata al Centro per lo sviluppo creativo intolato a suo padre. Che ancora oggi, 26 anni dopo la sua nascita, continua a promuove l’educazione alla nonviolenza.

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