Volontariato

La non ostilità non basta, serve la viralità del bene

di Giulio Sensi

Il lavoro svolto intorno al manifesto della comunicazione non ostile è importante e da valorizzare.

Consapevoli, però, dei limiti che un approccio del genere ha rispetto all'obiettivo che si pone. Detta in soldoni: se la comunicazione ostile è frutto anche e soprattutto dell'ignoranza e dell'analfabetismo funzionale, presupporre che il modo di contrastare questi devastanti effetti si fondi su un meccanismo di filtro culturale, rischia di risultare un po' velleitario.

I dieci punti del manifesto esprimono tale meccanismo: sicuramente tutti noi che siamo sensibili a questi temi cerchiamo di applicare al massimo quei filtri culturali, ma è lecito presupporre che i milioni di individui e profili social che generano gli effetti tipici dell'era della post-verità non siano capaci né di comprendere nè di applicare tali regole.

A supporto di questa valutazione, che non vuole sminuire il pregevole lavoro svolto dai promotori del manifesto ma anzi cercare di amplificarne gli effetti, vanno i recenti studi sui meccanismi della “Misinformation”. Quattrociocchi e Vicini hanno perfettamente descritto gli oliatissimi meccanismi che portano alla affermazione delle cosiddette eco chamber, vale a dire: le convinzioni, e quindi le azioni, coi meccanismi della misinformation tendono a solidificarsi, non il contrario.

Questo è facilmente osservabile anche dalla bacheca Facebook di ognuno di noi: svelare una bufala è un atto che cade nel vuoto, che genera reazioni nulle o gelide e induce scarsamente il divulgatore di bufale a smettere di farlo. Pensare che il “webete” arrivi ad apprendere e applicare le nobili regole della comunicazione non ostile è forse ardito.

Quei punti sono più un manifesto identitario dei moschettieri della web-verità, i quali hanno, abbiamo, quindi un compito in più: generare narrazioni positive che abbiano i caratteri della affidabilità e della viralità. Tutti possiamo essere non ostili, ma ancora di più possiamo essere rigenerativi anche nella comunicazione personale.

L'undicesimo punto, che non ho la presunzione di proporre ai virtuosi promotori del manifesto, ma su cui mi piacerebbe discutere, è questo: “Il bene moltiplica il bene. Genero e condivido saperi e contenuti per rafforzare benessere e coesione sociale”.

E qua vengo al mio lavoro: fra poche settimane la rivista Welfare Oggi edita da Maggioli (e diretta da un grande del terzo settore come Gianfranco Marocchi) pubblicherà un mio saggio, elaborato dopo uno scambio di idee con il prof. Andrea Volterrani. Il lungo articolo cercherà di riflettere sulle sfide della post-verità e dintorni, partendo proprio dalla responsabilità narrativa dei soggetti dell'economia civile. Ovvero: il civile e il sociale sono le prime vittime della misinformation. Potrebbero e dovrebbero rigenerare la propria comunicazione per contrastare il discredito e la sfiducia di cui sono vittime. Ce la giochiamo questa partita?

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