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La Nigeria che va al voto è una pentola a pressione
Con il 43% di giovani disoccupati, un'inflazione che per la Banca centrale è al 22% ma secondo la Johns Hopkins University è del 44%, il prezzo della benzina alle stelle e una crisi energetica senza precedenti, per la prima volta la principale democrazia africana va al voto usando la biometria e le urne elettroniche. La violenza pre elettorale, mai così rampante, e una popolazione esasperata dalla mancanza di contante causata da una polemica riforma monetaria del presidente uscente, l'ex generale golpista Muhammadu Buhari, aumentano il rischio di una deriva autoritaria
di Paolo Manzo
La Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa con una popolazione stimata di 225 milioni di abitanti, sceglierà sabato il successore dell’ex generale Muhammadu Buhari, al potere da 8 anni. Per essere eletto al primo turno, un candidato deve ricevere la maggioranza dei voti e più del 25% in almeno 24 dei 36 stati del paese. Se nessuno ce la farà come probabile, l’11 marzo si andrà al secondo turno, che sarebbe il primo ballottaggio dal ripristino della democrazia nel 1999. I 90 milioni di elettori chiamati alle urne sceglieranno anche i 109 membri del Senato e i 360 membri della Camera dei Rappresentanti. 18 i candidati alla presidenza ma la partita sarà tra i tre favoriti, ovvero il 70enne Bola Ahmed Tinubu, musulmano di etnia Yoruba che si candida per il partito di governo All Progressives Congress, il 75enne Atiku Abubakar, musulmano di etnia Hausa del Partito democratico popolare, il principale d’opposizione e la possibile sorpresa, il 61enne Peter Obi, cattolico e di etnia Ibgo, del Labour Party.
La maggior parte dei candidati presidenziali ha firmato un accordo di pace lo scorso settembre ma da allora, con oltre 170 attacchi, la violenza elettorale è aumentata drammaticamente. Gennaio è stato il mese peggiore, con almeno 65 tra aggressioni a candidati, violenze ai comizi, omicidi, attacchi alle strutture della Commissione elettorale nazionale indipendente, l’INEC e sparatorie tra i supporter di politici rivali. Non profit come Yiaga Africa e la Kimpact Development Initiative stanno monitorando i rischi in modo che la società civile nigeriana possa prevenirli meglio a livello comunitario ma il problema è che nessuno è stato punito per i 170 attacchi, lasciando un forte senso di impunità. Ma non c’è solo la violenza legata al voto di sabato in questo paese che è una pentola a pressione.
Non bastassero il terrorismo di Boko Haram, la crisi energetica (lo scorso marzo 200 milioni di nigeriani sono rimasti al buio a lungo per il collasso della rete nazionale) e la scarsità di carburante (i prezzi sono triplicati in molte regioni del paese, paradossale visto il petrolio di cui dispone il paese), a fare crescere la tensione è stata infatti l’ultima balzana idea del presidente Muhammadu Buhari di introdurre il “nuovo naira” come moneta. Le vecchie banconote avrebbero dovuto cessare il loro corso legale dall’11 febbraio scorso, ma la Corte Suprema ha sospeso la scadenza perché le banche non sono state in grado di erogare una quantità sufficiente del nuovo contante ai nigeriani.
La carenza di banconote ha esasperato la popolazione, soprattutto chi lavora nell’economia informale basata sul contante e chi vive nelle zone rurali. Buhari aveva deciso la sua “rivoluzione monetaria” lo scorso novembre, ufficialmente per frenare la contraffazione ma il risultato è che da un paio di settimane la rabbia per la frustrante ricerca delle nuove naira non fa che crescere. L’economia nigeriana dipende infatti al 90% dai contanti e tante banche distribuiscono al momento appena 1000 naira, l’equivalente di 2,5 euro.
Benin City, la capitale dello stato di Edo, è stata messa a ferro e fuoco lo scorso 15 febbraio per le violente proteste dovute alla scarsità del “nuovo naira”, con centinaia di manifestanti furenti che hanno distrutto decine di bancomat e agenzie bancarie. Secondo alcuni analisti, la decisione di Buhari, che vorrebbe piazzare come successore il suo compagno di partito Bola Tinubu, ex governatore dello stato più ricco del paese, quello di Lagos, avrebbe motivazioni politiche per ridurre la compravendita di voti in contanti, un classico nel paese che, per la prima volta, userà urne elettroniche.
Essendo il più popoloso e uno dei paesi economicamente e geopoliticamente più importanti dell’Africa, la stabilità della Nigeria dovrebbe essere una priorità per l’Europa. “La comunità internazionale dovrebbe sanzionare chi è coinvolto in questa violenza, anche con il congelamento dei beni all’estero, come ong nazionali e internazionali hanno chiesto ripetutamente”, ha scritto a chiare lettere Santiago Stocker, direttore della missione di osservazione elettorale internazionale per il voto di sabato. Lo scorso 12 gennaio gli Stati Uniti hanno annunciato che imporranno restrizioni sui visti a coloro che minassero la democrazia in Nigeria, ma i risultati concreti di tale provvedimento al fine di frenare eventuali derive autoritarie sono pressoché nulli. Basti pensare al gruppo separatista IPOB, acronimo che sta per “Popolo indigeno del Biafra” che aspira che la regione sud-orientale ottenga l’indipendenza e che negli ultimi tre giorni nella regione di Anambra ha ucciso in due attacchi 8 poliziotti. Inoltre, lo scorso anno, Boko Haram ha fatto più attacchi di sempre nel nord-est del paese, mentre almeno 60 milioni sopravvivono con meno dell’equivalente di due euro al giorno.
A dimostrazione dei rischi di un’implosione, la Coalizione nazionale per la pace e l’unità, la NACOPU, ha lanciato questa settimana un appello affinché i leader di tutta la nazione si mobilitino per prevenire una potenziale crisi post elettorale. Per il presidente della NACOPU, Ken Nnamani, “stiamo entrando in un processo cruciale e la sfida sarà più dopo il voto. So che la gente contesterà i risultati, ma non dovremmo permettere a due, tre o cinque giudici di determinare chi ci governa. Dobbiamo rispettare l’esito delle urne”, ha detto. “Il paese è in una situazione di “make or break” (da ultima spiaggia, ndr)” ha detto l’ex governatore dello stato di Anambra, Chukwuemeka Ezeife, aggiungendo “io sono Igbo (gruppo etnico che rappresenta il 17% della popolazione, ndr) e non voglio lasciare la mia nazione, ma non voglio essere uno schiavo nel paese della mia nascita. Il governo federale ci sta spingendo ad emigrare, ma tutti noi siamo Igbo, Hausa o Yoruba (i tre principali gruppi etnici, sovente in lotta tra loro, ndr) per caso, non per scelta”.
Foto: Prima pagina del quotidiano nigeriano The Will
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