Welfare

La multinazionale che delocalizza… in carcere

L’azienda lombarda con sedi nell’Est Europa e in Cina da tre anni ha aperto uno stabilimento nell’istituto di Bollate. Una caso unico...

di Daniele Biella

Un?impresa che sa di follia. La sede che l?azienda di servizi di comunicazione Wsc ha aperto nella Casa circondariale di Bollate, alle porte di Milano, è un caso unico in Italia. «La follia? Che finora nessuno ci abbia copiato l?idea», rivela Francesco Francescutto, l?uomo della World Startel Communications che ha creduto nel progetto fin dai suoi inizi, tre anni or sono. È il profit che non t?aspetti: due capannoni dentro il carcere e uno subito fuori, 1.300 metri quadri in tutto, divisi in una catena di montaggio e due postazioni di call center che danno lavoro a 106 persone. Tutte recluse.

Occhio agli orari
Anche se non sembra proprio di essere in carcere. Muri colorati, ampi corridoi, andirivieni di lavoratori, poche guardie, presenti ma non intrusive. «Sul luogo di lavoro i detenuti hanno gli stessi diritti e doveri del mondo esterno», spiega Francescutto. Un cartello appeso all?ingresso del capannone principale, quello che ospita una cinquantina di postazioni telefoniche, ricorda l?importanza del rispetto degli orari. Quattro-sei ore al giorno, che possono aumentare se arriva più lavoro. A destra dell?ingresso, la sala riunioni. «È qui che veniamo selezionati e formati», dice Massimiliano Longo, il primo detenuto assunto dalla Wsc. Longo, che oggi ha 31 anni, di cui gli ultimi sette passati a Bollate (ne avrà per altri dieci), in carcere sta facendo carriera: è uno dei cinque team leader della sede ?ristretta? dell?azienda.

«Altro che lavoretti inutili, con un vero lavoro come questo avrò un futuro una volta fuori», si compiace mentre spiega come vengono gestite le commesse. I committenti? Nomi noti: Ikea, per la quale i detenuti rispondono al numero verde; Enel, della quale organizzano l?agenda dei tecnici, prendendo appuntamenti con i clienti; l?operatore di telefonia ?3?, che ha appaltato alla Wsc la gestione degli abbonamenti. «Quando ci sono di mezzo dati sensibili», continua Longo, «il lavoro viene fatto dagli articolo 21», ovvero i detenuti in misura alternativa, che lavorano nell?unico capannone posto fuori dalle mura. Attualmente quelli che godono della misura sono una quindicina, gli altri novanta sono all?interno. Dove, oltre al call center, c?è la fabbrica in cui arrivano per la manutenzione tutti i telefoni Sirio 187, quelli che Telecom Italia dà gratis ai nuovi abbonati.

Prova qualità
«Sfido chiunque a dire che non facciamo un lavoro di qualità», dice Antonio Palmieri, 50enne detenuto di lunga data («ho vissuto più dentro che fuori») e responsabile della fabbrica. «Qui si lavora sodo e bene, e i frequenti controlli lo testimoniano», continua Palmieri, che poi racconta: «Gli ispettori fanno cadere a terra il telefono da un metro», continua, «se si rompe, la colpa è nostra. Per evitarlo la riparazione deve essere perfetta».

E alla perfezione si avvicina anche l?ambiente di lavoro: pulito, ordinato, con ogni fase della lavorazione (lavaggio, pulitura, ricambio pezzi danneggiati, test di funzionamento, etichettatura, imballaggio) in aree contigue ma ben separate, unite da un rullo sul quale passano gli apparecchi. «Arriviamo a rigenerare mille apparecchi in un giorno. Ma non è facile controllare il lavoro di altri detenuti», ammette, «le rivalità ci sono anche qui, anzi forse più che fuori, perché tra noi detenuti chi dà ordini a un altro viene disprezzato». Come fare, allora? «Alla fine prevale il buon senso, si fa capire a chi crea problemi che se non fa la sua parte ci andiamo di mezzo tutti». Sì, perché di lavoro vero si tratta e la produzione ha i suoi ritmi da rispettare. Il mondo aziendale non prescinde dal profitto. «Per noi della Wsc la scommessa di Bollate è vinta alla grande, e non escludo la possibilità di aprire sedi in altre carceri», spiega Francescutto, «ma il presupposto per continuare a lavorare nel carcere è che qualità e rendimento non vengano meno».

L?italiana Wsc ha sei sedi: tre in Lombardia, una in Romania, Bulgaria e da poco ha aperto a Shenzen, in Cina. In tutto 400 dipendenti compresi i 106 detenuti, e un fatturato 2006 di 20 milioni di euro, «circa il 20% merito di Bollate». «È un investimento che vale», continua l?imprenditore prima di congedarsi, «purtroppo ho difficoltà a convincere altre aziende, ancora troppo scettiche anche di fronte alle agevolazioni fiscali».


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